Natale si? Natale no? Babbo Natale sì o no? Cambiamo il nome alla festa? Eliminiamo il nome di Gesù dalle canzoncine di Natale?

Dal direttore dell’Ufficio Ecumenismo della Diocesi di Noto, don Ignazio La China, la riflessione che riceviamo e pubblichiamo.

“Davanti a queste domande sono possibili diverse reazioni. Si può prendere atto della secolarizzazione e del trionfo del mercato consumistico che ti incarta le feste nelle confezioni del politicamente corretto e, quindi, accettare che la festa per un Bimbo sia diventata la festa di un vecchietto (realisticamente, in un Occidente dove non nascono più figli e che assomiglia sempre più ad un ricovero per anziani). Oppure si può reagire con una difesa apologeticamente serrata delle tradizioni della cristianità, in un irrigidimento che sembra più la difesa dell’Ancient regime e che non lascia emergere le reali motivazioni delle feste da salvaguardare Ma questo atteggiamento di chiusura verso la contemporaneità e un ripiegamento nostalgico verso il passato ha il sapore dell’archeologia e del museo e non coglie la vitalità di una fede aperta a saper cogliere quelli che il vangelo chiama i segni dei tempi, cioè le provocazioni della storia e del cammino degli uomini. E ciò perché non si riesce a comprendere che il cristianesimo come fenomeno socioculturale e l’esperienza della fede cristiana non sono coestensivi ed equivalenti. Le forme culturali passano o mutano. La fede rimane. E la fede non si identifica mai con una sola cultura (men che meno nella sola cultura occidentale)”.

Per ritornare al Natale.

“Per togliere ogni residuo di pensiero legato all’idea dichristianitas, chiederei che il 25 dicembre e le altre feste legate a Gesù ritornassero giorni feriali, per par condicio con le altre religioni e così non ci sarebbe nessuna vacanza privilegiata (che poi del privilegio vacanziero godono anche i negazionisti e abolizionisti del Natale!). A parte però la provocazione semiseria, vorrei qui provare a ragionare in un’ottica diversa. Mi spiego. La festa che ricorda la nascita di Gesù, (che i cristiani riconoscono come la manifestazione di Dio nella carne e nella storia di quel Figlio dell’Uomo, nato a Betlemme, vissuto a Nazaret, morto e risorto a Gerusalemme) di fatti non vuole che manifestare un principio, un valore, che dovrebbe essere condivisibile da tutti, cristiani e non cristiani: che tutti gli uomini abbiamo pari dignità perché tutti uguali e amati da Dio allo stesso modo, dato che Dio ha così amato l’umanità da farsi lui stesso uomo e se anche questa affermazione fosse letta in modo laicista, mettendo Dio fra parentesi, rimarrebbe intatto il suo significato di fondo: la dignità e l’uguaglianza di tutti gli uomini al di là di ogni razza, sesso, ceto. Un principio, questo, che nel suo valore assoluto ormai è impensabile negare (a prescindere dalla sua stessa realizzazione concreta) al di là della sua matrice cristiana. Infatti, come scrive Papa Francesco nella sua enciclica Fratelli Tutti, questo, ad esempio è già accaduto nel proclama della Rivoluzione Francese e nella dichiarazione dei Diritti dell’Uomo: libertà, uguaglianza, fraternità, sono frutti, lo si voglia ammettere o no, della predicazione del Vangelo. E l’importante sono i frutti, che tutti dovrebbero poter mangiare. Certo, magari ricordando chi ha messo i semi e fatto crescere l’albero, ma si sa la gratitudine non è di questo mondo. E perciò non mi scandalizzerei se un domani nei calendari laici il Natale fosse denominato come “festa dell’uguaglianza e della fraternità” o qualcosa di simile (ma non banalmente “festa d’inverno”, che è denominazione pseudo laica e mostra un regresso al culto paganizzante della natura). D’altronde, lo stesso Paolo VI ha voluto la festa dell’Ottava del Natale, come Giornata mondiale della Pace, il 1° gennaio, e ormai da anni la festa dell’Epifania, il 6 gennaio, è celebrata nel contesto del dialogo ecumenico e interreligioso come “festa della fraternità dei popoli” nel segno multiculturale dei Magi. Naturalmente sarebbe più bello che fossero proprio i laici che si richiamano all’uso del linguaggio inclusivo ad ogni piè sospinto che nel titolo della festa mantenessero il nome di Gesù: “Nascita di Gesù. Festa dell’uguaglianza”. Avrebbe senso celebrare il 25 aprile come Festa della Liberazione senza ricordare i partigiani? Ebbene, ricordare la nascita di qualcuno che ha inciso nella storia come Gandhi o Martin Luther King non credo sia discriminante nei riguardi di alcuno. Né ciò ti obbliga a riconoscerlo come Figlio di Dio. La fede è altra cosa. Ce lo ricorda il bellissimo libro di Vittorio Andreoli su Gesù: da non credente ha elevato all’uomo Gesù un canto di rispetto, riconoscenza e amore come pochi hanno mai fatto, e spererei che certa intellighèntsia laicista possa imparare qualcosa dal suo esempio. E in fondo, cos’è il Natale, se non il compleanno di Gesù? E il compleanno si festeggia in famiglia e con gli amici. Cambino pure il nome al Natale, dunque, lascino il riferimento a Gesù oppure lo tolgano, io da parte mia il 25 dicembre continuerò ad augurargli con la Chiesa, la sua famiglia, Buon Compleanno e a brindare a colui che per la prima volta nella storia ha ricordato agli uomini che abbiamo un solo Padre e che siamo tutti fratelli. E certo sarebbe bello però poter brindare pure con quanti, uomini di buona volontà (messa da parte ogni ideologia) questa fraternità vogliono realizzarla davvero. Gli altri si rimpinzino pure di panettoni e pandori farciti di chiacchiere. Ed è questa la mia speranza, che vorrei poter condividere con tanti compagni di viaggio. A questi miei compagni, reali e virtuali, Auguri!”.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it