MICHEL MARTONE ACCUSA INDISTINTAMENTE I GIOVANI LAUREATI E, DOPO LE POLEMICHE, FA UN PASSO INDIETRO

Come da copione, l’intervento del Viceministro del Welfare Michel Martone, in occasione della presentazione del nuovo contratto di apprendistato della regione Lazio , ha sollevato un polverone che non può certo considerarsi inaspettato. Al di là delle critiche e delle polemiche, le sue parole offrono lo spunto per un’analisi alternativa del nostro sistema universitario. Chi raggiunge i 28 anni di età, senza aver conseguito la laurea, è uno sfigato: questo è in sintesi  il pensiero espresso da Martone. Ma quanto risulta approssimativa  questa affermazione?

Il vero problema non è raggiungere il traguardo della laurea a 28 anni, ma arrivare a questa età con una formazione che ha il suo principale fondamento nella teoria. Tanti concetti, poca, pochissima pratica: è questo il dramma reale dell’università italiana. A 28 anni la testa di uno studente è piena di idee, ma gli strumenti per procedere ad una loro applicazione concreta mancano.

 E così si profila come necessaria la scelta di un master, che, in linea di principio, dovrebbe avvicinare ( e sottolineo il dovrebbe) i giovani al mondo del lavoro.  Dalle tasse universitarie si passa alla retta del master,  il salto dalla padella alla brace è immediato. Il percorso formativo si dilata, diventando sempre più lungo e costoso. Se a questo aggiungiamo un’impostazione vecchia e troppo ortodossa di molti docenti universitari, che non hanno ancora accettato né, tantomeno, metabolizzato il  sistema basato sui crediti, sembra non esserci speranza di salvezza.

 Bisogna dire basta alle tesi che presuppongono uno o più anni di preparazione, soprattutto se le prospettive nella ricerca sono pari a zero, bisogna dire basta a quei corsi basati solo sull’acquisizione di concetti teorici fini a sè stessi. E’ necessario indicare ai giovani la strada della concretezza, mostrar loro come attuare le idee, come trasformare in realtà tangibile il pensiero creativo. Seminari e  tirocini, stage e corsi professionalizzanti devono diventare parte integrante e fondamentale del corso di studi e non semplicemente opzioni alternative extrauniversitarie. E se, oltre ai concetti, venissero acquisiti gli strumenti necessari ad affrontare degnamente il mondo del lavoro, raggiungere la laurea a 28 anni non sarebbe più un problema così grave. Tuttavia la celerità nel portare a termine gli studi deve essere sempre considerata come l’opzione più auspicabile.

 Se l’esperienza sul campo venisse inglobata all’interno del percorso universitario, si accorcerebbero le distanze fra università e lavoro, fra teoria e pratica. Rivoluzionare e svecchiare il sistema è, dunque, il primo passo fondamentale per procedere alla risoluzione del problema che il Viceministro ha posto in termini un po’ troppo ambigui.

I ritardi nel raggiungimento del traguardo dovuti ad altri problemi ( salute, stati psicologici particolari, situazioni economiche non propriamente favorevoli) non possono certo passare in secondo piano. Creare un unico calderone che mescoli insieme fatti e  situazioni diverse è scorretto, ingiusto e, soprattutto, forviante.

Sono piuttosto  il disinteresse e la pigrizia ad uccidere la nostra università. Chi non ha voglia di studiare, pur avendone la possibilità e preferisce sostare in un limbo poco gratificante, in balia dei vizi , non contribuisce certo alla crescita del nostro paese.

Sono questi i veri sfigati, così come ha poi sostenuto il viceministro, ritrattando quanto affermato in precedenza. E, tuttavia, l’utilizzo di questo aggettivo non sembra essere appropriato. È forse più opportuno utilizzare il termine scansafatiche…la sfiga o la sfortuna, che dir si voglia, sono ben altra cosa!

 

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