MEA CULPA, MEA MAXIMA CULPA

Le prime pagine dei giornali sono occupate dai tentativi di Bersani di formare un governo con una maggioranza accettabile e dalle inspiegabili e arcane strategie di Grillo che deve contenere la massa dei suoi sostenitori, i quali, saliti sul palcoscenico, vogliono convincere ora il leader a strane alleanze, contraddicendo quanto gridato in campagna elettorale.

Pur tuttavia, si vanno a scovare, negli stessi giornali, gli echi, non sopiti, di quella che a molti appare una vittoria solo numerica e niente affatto sostanziale e morale.

L’argomento è appetibile per chi scrive, al pari delle carenze di tattica della Nazionale di Prandelli, ma risulta alla fine alquanto pedissequo nell’analisi del mancato trionfo.

Ma se le stesse considerazioni, come un velo di polvere di pistacchi sulla crema dei cannoli, sono espresse da uno dell’apparato, insospettabile come possibile competitore del segretario vincitore perdente , allora l’articolo appare del tutto nuovo  e appetibile.

In uno spazio dove, di solito, abbondano opinioni di ogni tipo ma, prevalentemente farcite da abbondante spirito di parte, sulle prime non ti attira un articolo scritto dal coordinatore del settore Politiche di Sicurezza e Difesa del PD. Pensi subito che ci sarà una difesa d’ufficio dell’apparato e resti solo incuriosito per quali potranno essere, questa volta i motivi della vittoria perdente.

Ti trovi, invece, davanti a uno di quei pezzi che ti trascinano a pensare talmente bene del partito e dei suoi componenti da desiderare l’iscrizione, dal considerare la mancata appartenenza come una diminutio.

Già l’incipit è tutto un programma: Il problema non sono le dimissioni di Bersani a breve. Il problema sono le dimissioni di tutti.

Non sono da meno alcune considerazioni che mi piace sciorinare una appresso all’altra, anche perché sono di quelle a cui nulla puoi obiettare o commentare, devi solo opporre un ossequioso silenzio.

“Stavolta quasi 10 milioni di italiani hanno votato per formazioni politiche che nel 2008 non erano neppure sulla scheda!  Primi, col peggiore risultato di sempre del centrosinistra come partito e come coalizione. Ridotti al Pci del 1963. Peggio del 1994. Occhetto andò via per molto meno.”

“Abbiamo rappresentato un grande partito conservativo (a questo tragicamente è ridotta la sinistra), quelli del “ritorna la Politica professionistica”, il partito del “primato degli apparati”. Abbiamo piegato lo strumento delle primarie, la loro apertura e la loro inclusività, affinché si adattasse alla necessità di garantire un ricambio anagrafico nella continuità di idee vecchie.”

“L’unica responsabilità possibile sarà seguire le scelte che il capo dello Stato ci indicherà. Come sempre la salvezza dell’Italia non può che essere il nostro solo faro. Molti stanno già tentando e tenteranno ancora di nascondere dietro questa parola feticcio l’idea di salvare la propria persona, il proprio incarico, pezzi di potere”.

“Qualcuno lavorerà per un posto di rilievo in un “governo che non c’è”: il gruppo dirigente, assediato al Nazareno, cercherà di conservarsi in sella anche se questo significa la rovina del Pd. Serve aprire le sedi di partito, quelli sì come una scatola di tonno”.

L’autore dell’articolo in questione si chiama Luca Di Bartolomei, ha 30 anni. Ti chiedi subito dove lo hanno tenuto, ti chiedi se ce ne sono altri della stessa specie e dove li tengono.

Quando hai finito di leggere, vai a dare una lettura alla biografia dell’autore, poi ti capita di legger ei commenti: della serie “Nessuno tocchi Bersani”

E ti passa la voglia di prendere la tessera!

 

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