L’HOMO ANSIOSUS

Ansia, dal latino angere: chiudere alla gola, opprimere.

Tensione, senso di oppressione ed un persistente ed insopportabile senso di nodo alla gola: questi di solito sono le caratteristiche dell’ansia, uno stato psichico di malessere che coinvolge anche il corpo con una serie di sintomi fisici (tachicardia, aumento della pressione sanguigna, nausea, palpitazioni) ed ovviamente modificazioni di natura cognitiva (insicurezza, pensieri catastrofici, incapacità di pensare).

Quello dell’ansia è un argomento che in questo spazio ho già trattato, ma che stavolta presenterò in una cornice più sociologica e meno clinica. L’ansia nasce per salvaguardarci da situazioni pericolose per la nostra sopravvivenza, da un punto di vista ontogenetico e filogenetico la possiamo infatti considerare importante compagna di vita proprio per averci allertato e prontamente aiutato a difenderci da grandi pericoli, potenziando il nostro organismo.

L’ansia da compagna di vita diventa patologica nel momento in cui cessa di avere la funzione di campanello d’allarme e di pericolo, per diventare invece una continua e spiacevole tensione psichica.

Come è avvenuto questo passaggio?

Secondo l’equipe di studio di Caprioglio, si può ritenere che questo passaggio è stato determinato dai cambiamenti sociali ed evolutivi che hanno modificato l’atteggiamento mentale dell’individuo.

Gli studiosi parlano proprio della nascita e dell’evoluzione (o involuzione) dell’Homo ansiosus, prodotta dalla società industrializzata ed occidentalizzata.

Agli albori della civilizzazione, durante l’era primitiva, l’Ansia era positiva: era legata alla sopravvivenza, quindi alla necessità di procurarsi cibo e di difendersi.

Durante la civilizzazione l’Ansia positiva “evolve” in Ansia di successo, legata adesso al bisogno e al desiderio di conquista e di potere personale, per trasformarsi con la rivoluzione industriale e ritmi di vita più frenetici, in Ansia del futuro.

Durante l’epoca del consumismo diventa Ansia di possesso, non più motivata da bisogni veri ma da un senso di inquietudine e di insoddisfazione, in cui si ricerca più “l’avere” che “l’essere”, per una soddisfazione immediata ricercata nel superfluo.

Ai giorni nostri, nelle società occidentali (con alti livelli di benessere), si parla di Ansia dei limiti, ovvero della necessità di andare “oltre”, di sfidare tutto, soprattutto se stessi, e di sfidare il concetto stesso di desiderio e bisogno.

I disturbi d’ansia sono oggi fra i più diagnosticati e, secondo le previsioni dell’Oms, insieme ai disturbi depressivi, saranno quelli di cui maggiormente tutti soffriranno, bambini compresi, perché i bambini sono inseriti in contesti sociali e familiari che pretendono da loro alte prestazioni individuali, con la costante paura del fallimento e della delusione, anche in tenerissima età. La situazione non migliora ovviamente nel mondo degli adulti, sia nei contesti lavorativi, dove si registra spesso la presenza di molto stress negativo (burnout e mobbing), che relazionali, dove la forte tensione e la paura immobilizzano nelle scelte.

Una persona che soffre d’ansia ha molto spesso, se non sempre, una chiara coscienza del proprio malessere e può capire quando questa è funzionale o disfunzionale analizzando la presenza o meno di reali condizioni di pericolo: se queste sono reali (se il pericolo esiste), attraverso l’attivazione dell’ansia ci si predispone all’attacco o alla fuga (verso o dal pericolo), ma se queste sono irreali e immotivate, l’ansia diventa panico paralizzante in quanto il suo insorgere è ingiustificato e soprattutto inutile. Si consiglia in questi casi un trattamento terapeutico.

 

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