L’ex studente modello modicano diventato oncologo di prim’ordine. Il merito secondo Orazio Caffo

Una norma consente agli alunni di quarto anno della scuola secondaria di II grado di accedere agli esami di maturità con un anno di anticipo, se in pagella detengono la media del 9. È il percorso svolto nelle scorse settimane da due studentesse di Canicattì e di Latina, diplomatesi a 17 anni con il massimo dei voti, 100/100. Una notizia che ha fatto il giro d’Italia.

Il decreto legislativo 62/2017 è l’ultimo che disciplina la materia, in ordine di tempo. In realtà, la possibilità di anticipare di un anno l’uscita dalle Superiori era concessa anche in passato, sempre grazie a pagelle immacolate. Nel 1981 un giovane che aveva appena terminato la II classe del Liceo Classico “Tommaso Campailla”, con una media da fare arrossire amici e compagni di scuola, compì l’impresa eccezionale di saltare l’anno e diplomarsi con 60/60: il massimo di allora. Poi non si è fermato: la laurea in Medicina a 23 anni e la specializzazione a 26. Oggi quel ragazzo è il primario di Oncologia dell’ospedale di Trento. 

Con oltre 200 pubblicazioni, il dottore Orazio Caffo è uno specialista di prim’ordine, punto di riferimento in Italia per il trattamento e le cure sul tumore più temuto dagli uomini: il carcinoma alla prostata. La sua è una storia di impegno, capacità, sacrificio. Volendo sintetizzare, merito. A scapito di stereotipi, Orazio Caffo è un’icona che sovverte le soventi banalizzazioni sul nostro Paese. Ragusaoggi.it lo ha intervistato.

Dottore Caffo, cosa ricorda dell’estate di 42 anni fa? 

“Stavo per terminare l’anno scolastico in una bella classe, ma mi balenava in testa una sfida con me stesso: fare il salto, prendere il diploma e iscrivermi all’Università, senza sapere ancora in quale facoltà. Tra lo scetticismo di tanti, fra cui anche alcuni docenti, mi presentai da privatista alla maturità, sapendo di dovere fare gli esami in tutte le discipline del terzo anno”. 

Immaginiamo la fatica… 

“Otto, dieci ore di studio al giorno per un mese e mezzo. Quasi sempre da autodidatta, ricordo l’aiuto in Latino di un mio zio professore, Giorgio Calabrese, che insegnava all’Istituto Magistrale. Staccavo in prima serata, prendevo il bus da Modica Alta, dove abitavo, fino a corso Umberto. Una passeggiata per sgranchire le gambe  e quindi tornavo a studiare fino a mezzanotte”.

Perché questa voglia di anticipare i tempi? 

“È stata semplicemente una sfida per misurarmi. Un sogno. Dovetti studiare il programma di tutte le materie, ricordo che riservavo lo studio di matematica nelle ore serali. Tentai e ottenni quel risultato.”

Rifarebbe quelle levatacce con il caldo che fa? 

“Certamente! A parte il fatto che il caldo estivo in Sicilia c’è sempre stato, e allora gli esami iniziavano nei primi di luglio e si andava avanti fino a fine mese, essere riuscito nell’obiettivo che mi ero posto è stata un’enorme soddisfazione. L’insegnamento che ne ho tratto è: bisogna osare, sempre!” 

I suoi avranno espresso tutto il loro orgoglio… 

“Erano felicissimi. Ottenere 60 agli esami di maturità a 17 anni fu tanto anche per loro.” 

Qualcuno parlò di lei in articoli di giornale?

“No, assolutamente. Non era considerata una notizia, evidentemente. Festeggiai con genitori, parenti e gli amici più stretti, anche con alcuni tra coloro che erano stati scettici sulla mia scelta. Ma va bene così.” 

Poi arrivò l’università. 

“Volevo fare ricerca, Medicina o Fisica Nucleare. Solo che quest’ultima facoltà era a Torino e andare a 1500 km di distanza a 17 anni non era facile. Optai per Medicina a Catania. Sapevo già di volere fare l’oncologo.” 

Capacità o sacrificio allo studio: nel suo caso, col senno di poi, cosa mette al primo posto? 

“Non credo si possa parlare di un’abilità che viene prima dell’altra. Applicazione, dedizione, forza di volontà, preparazione hanno giocato un ruolo allo stesso livello.” 

Ma essere bravi a scuola, alla fine paga? 

“Sì, ma dipende da come si affronta il percorso dopo gli studi. Studiare è un metodo che poi serve anche dopo. La scuola dovrebbe preparare soprattutto a questo aspetto e non soltanto alle nozioni.” 

Siamo il Paese del merito, o no? 

“Dipende dal contesto e dalle situazioni. Non sempre il merito viene premiato. Sono a Trento da 33 anni, quando sono arrivato non mi conosceva nessuno, ho dovuto dimostrare quanto valgo giorno dopo giorno. Per vari motivi, il premio spesso va per diverse direzioni perché l’incontro con alcune variabili è inevitabile. Serve anche un pizzico di fortuna, ovvero trovarsi al posto giusto nel momento giusto, tenere gli occhi bene aperti e sfruttare le occasioni, anche poche, che si presentano.” 

Lei si è iscritto in Medicina in un’epoca in cui non c’erano i test di accesso, come adesso. È una prova utile, nel momento in cui i medici cominciano a scarseggiare? 

“Le prove di accesso non forniscono una realtà totale della preparazione dello studente. Semmai il vero problema è l’accesso alle scuole di specializzazione, perché se le università non riescono a formare, tutto diventa più complicato. I giovani laureati in Medicina molto spesso scelgono specialità più facili e lucrose, mentre Anestesia, Radiologia e Medicina d’Urgenza, là dove si prefigura il lavoro più duro, rimangono scoperte. Succede, allora, che gli ospedali si contendano in modo energico gli specializzandi nelle discipline che ho appena elencato. La soluzione ideale? No alle facili condizioni per una parte dei giovani specialisti.” 

Lei è uno stimato specialista nel trattamento dei tumori alla prostata. Qual è lo stato della ricerca? 

“I cambiamenti avvenuti negli ultimi 20 anni sono epocali. Sappiamo che lo screening sul Psa, l’antigene prostatico specifico utilizzato come marcatore tumorale, da solo non è sufficiente alla scoperta del carcinoma. È utile per gli uomini che hanno una familiarità o sono sintomatici. Tra l’altro, due studi internazionali sulla sopravvivenza dei soggetti da screening di Psa hanno dato risultati diametralmente opposti. Spesso, però, questo tipo di tumore è indolente, e potrebbe rimanere non diagnosticato per tutta la vita. In ogni caso è, come tutti gli altri tipi di tumore, una malattia legata a delle mutazioni genetiche che si accumulano nel corso della vita e pertanto si potrebbe definire una malattia dell’invecchiamento.  In caso di insorgenza, la chirurgia robotica oggi interviene con effetti collaterali inferiori rispetto al passato. La radioterapia esterna ha una precisione quasi chirurgica, con la preservazione dei tessuti sani circostanti. Sono stati compiuti passi da gigante. Anche nell’ambito delle terapie mediche sono stati compiuti enormi progressi che ci aiutano a cronicizzare sempre più spesso la malattia. La sfida attuale è la gestione multidisciplinare del tumore alla prostata, che consente ai pazienti di ricevere le strategie migliori per controllare la malattia.”

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