L’ETNA SI TINGE DI BIANCO

La vinificazione tradizionale etnea, in passato abbastanza comune anche in molte altre zone vitivinicole, non prevedeva una vinificazione separata tra uve a bacca bianca e uve a bacca nera. Il vinificatore raccoglieva indistintamente tutte le uve che possedeva e le vinificava assieme. Questo sistema di vinificazione era talmente diffuso nell’Etna, quasi da essere l’unico utilizzato, giacché la presenza di uva a bacca bianca, nello specifico si trattava di uva carricante, era limitatissima e sparsa in modo del tutto casuale sui vigneti.

Bisognerà attendere i ricchi proprietari terrieri etnei per avere finalmente una vinificazione esclusivamente di uva a bacca bianca. Molto noto fu il Barone di Villagrande a Milo, di cui Mario Soldati scrive nel libro Vino al vino. Proprio in queste pagine Soldati rimane stupito dal bianco prodotto dal barone, tanto da convincersi fermamente, in un primo momento, della superiorità dei bianchi etnei rispetto ai rossi.

La sorpresa maggiore per Soldati era di trovarsi di fronte a un vino particolarmente ricco di acidità, cosa abbastanza insolita all’epoca per la Sicilia, dove i vini bianchi in genere erano ossidati proprio perché poveri di acidità. Il vino, inoltre, non si presentava particolarmente carico di colore e possedeva un ventaglio olfattivo e una struttura molto più simile a un vino del nord.

I vini bianchi etnei effettivamente si smarcano dai classici vini siciliani. Il loro colore tipico è giallo paglierino particolarmente tenue, anche se capita sempre più spesso, purtroppo, che molti vini siciliani, dell’Etna e non, presentino riflessi verdolini, dovuti a un tipo di vendemmia, quella anticipata, che ne aumenta l’acidità, ma allo stesso tempo altera l’equilibrio del vino, eccessivamente spostato sull’acidità, al punto da accorciarne le possibilità d’invecchiamento, banalizzandone il carattere.

La vendemmia anticipata è divenuta necessaria in molte zone del meridione particolarmente calde, proprio per potersi adeguare alle preferenze del mercato, giacché esso si è spostato, almeno per quanto riguarda i vini bianchi, verso vini profumati, non troppo strutturati, ma soprattutto ricchi di acidità.

Questo tipo di vendemmia ha un senso in vigneti non propriamente vocati o almeno localizzati in terroir dal carattere limitato. Ora in una zona come l’Etna, con un terreno vulcanico e un clima capace di dare buone escursioni termiche, la prima conseguenza di una vendemmia anticipata è stata quella di limitare nell’olfattiva l’impronta minerale tipica dei vini etnei, nascosta dalle forti note aggrumate di limone dovute a un’uva non matura. L’altra conseguenza, come accennato prima, è la mancanza di equilibrio che accorcia notevolmente le possibilità di invecchiamento del vino. Fortunatamente non tutti i produttori etnei fanno uso della vendemmia anticipata.

Ora sebbene siano in molti a considerare l’Etna Rosso di maggiore interesse rispetto all’Etna Bianco, non mancano, anche nelle file di quest’ultimo, prodotti di grande interesse e di grande carattere. Il carricante, un’uva che se coltivata fuori dall’Etna dà vini alquanto banali, riesce a farsi interprete di un grande territorio come quello etneo, dando nei vini grande impatto minerale all’olfattiva e grande sapidità alla gustativa, ma soprattutto, se attentamente curato, capace di dare vini dal lungo invecchiamento.

Certo è che le potenzialità dei vini bianchi dell’Etna vanno ancora studiate. Certamente il grande successo dei rossi etnei ha adombrato le potenzialità del bianco, che però ultimamente sta riscuotendo grande interesse tra i produttori etnei, anche sperimentando con altri vitigni a bacca bianca non tradizionali della zona.

 

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