LE PRIMARIE DI COALIZIONE

Nell’articolo di lunedì scorso sui partiti politici, scritto il sabato precedente, parlavo incidentalmente delle primarie; ed ecco puntuale il lunedì la sconfitta a Palermo del candidato del Pd. Sconfitta che viene dopo quella della Puglia, di Napoli, Cagliari, Milano e Genova. E allora si impone, per quanto possibile in uno strumento come questo, un approfondimento della materia.

Le primarie sono copiate dal sistema politico degli Stati Uniti, dove però il sistema partitico è completamente diverso dal nostro. I partiti americani non sono organizzati in correnti, né si riuniscono periodicamente in congressi, come in Italia. I partiti americani sono una coalizione informale di varie anime, di diversi gruppi di pressione e di istanze sociali e culturali organizzate nel paese e senza paragoni altrove. La burocrazia è ridotta al minimo: gli statuti dei partiti sono leggeri e succinti. L’identificazione partitica si formalizza nelle elezioni i cui candidati sono presentati dai partiti (partisan elections). In gran parte degli Stati i partiti scelgono i propri candidati in base al risultato di elezioni primarie, a cui si presentano tutti coloro che intendono ottenere la candidatura del partito (nomination).

Anche il diritto di voto alle primarie varia a seconda degli Stati. In alcuni casi, le primarie sono “chiuse”, ossia consentono la partecipazione soltanto agli elettori registrati per il partito, mentre in altri sono “aperte” e, quindi, può prendervi parte qualsiasi elettore, anche se registrato per un altro partito o come indipendente. Nella maggior parte dei casi, in conclusione, i partiti americani si affidano direttamente allo strumento popolare.

Entrambi i due maggiori partiti hanno un presidente, ma questi non è un vero e proprio leader che si ponga alla guida e ne determini la linea politica, come in Italia. In genere, i capi dei rispettivi partiti sono coloro che rivestono le cariche più alte a livello federale, la Presidenza, oppure direzione dei gruppi parlamentari (leggi: congressuali) alla Camera dei Rappresentanti e al Senato. Anche questa leadership, comunque, è solo nominale: i membri del partito possono decidere di seguirla o di andare per conto proprio.

In sostanza, il compito centrale dei due partiti maggiori è quello di organizzare le elezioni primarie come sistema democratico di selezione delle candidature. Dal punto di vista formale, il Presidente degli Stati Uniti è considerato il capo del proprio partito, ed esercita il potere di scegliere il presidente del Comitato nazionale. Lo stesso, in anno elettorale, si può dire per il candidato alla presidenza del partito avversario.

Se questo è il sistema partitico americano, viene spontaneo chiedersi perchè il PD ha sentito la necessità di copiarlo nel nostro sistema politico dove i partiti hanno una loro organizzazione complessa che, in modo apparentemente democratico, elegge i propri dirigenti. Essendo il PD uno dei maggiori partiti italiani, in questo momento il partito di maggioranza relativa, non gli dovrebbe essere difficile imporre ai partiti della coalizione (di dimensioni molto più contenute) il proprio candidato. Se questo non riesce, è evidente che qualcosa non funziona. In particolare, se il candidato eletto in una consultazione di coalizione, quindi con controlli sulle procedure che si pensa siano piuttosto rigorose, è spesso quello espresso da partiti minori, viene spontaneo da pensare che le procedure che regolano i congressi dei partiti lo siano molto di meno. In caso contrario, ci potrebbe essere qualche risultato anomalo ma, nella maggior parte dei casi, si dovrebbe riscontrare una maggiore sintonia tra partito ed elettorato.

Considerato poi che sto scrivendo su una testata locale, non posso non ricordare quanto avvenuto a Ragusa per la designazione del candidato di centrosinistra alle ultime elezioni comunali. La segreteria del PD che al congresso dell’anno precedente aveva ottenuto la maggioranza di circolo con metodi che qualcuno ha definito “acrobatici”, nel momento in cui si è trovata a dover designare il candidato a sindaco, non ha trovato al suo interno, né all’interno del partito, un leader in grado di affrontare la competizione elettorale. E ha presentato alle elezioni primarie (di partito, non di coalizione) un candidato espressione di un movimento esterno al partito, che ha ripreso nuova vita a seguito di quella esperienza, naturalmente in concorrenza con il PD. I lettori conoscono bene il seguito della storia.

Se è questa la situazione, allora è chiaro che bisogna dare una svolta alla politica. “Partiti rinnovatevi!” è lo slogan di un incontro pubblico che si terrà oggi 12 marzo a Milano, promosso da Libertà e Giustizia per presentare il manifesto “Dipende da noi”. L’obiettivo è quello di “dare voce al grido di dolore dei cittadini che chiedono ai partiti di ritrovare il loro ruolo fondamentale nel sistema democratico, troppo spesso offuscato da interessi particolari, da forme diffuse di corruzione, di scarsa trasparenza, di distacco e indifferenza per le voci della società civile”.

Alla manifestazione, condotta da Concita De Gregorio, parteciperanno Giuliano Pisapia, la filosofa Roberta De Monticelli, Gustavo Zagrebelsky, Umberto Eco, Roberto Saviano; potrà essere seguita in diretta streaming, a partire dalle 20.30, su Repubblica Tv e Radio Popolare.

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