LA TRASGRESSIONE, UNA RIVISITAZIONE DELLE REGOLE

Trasgredire, dal latino “transgredi”, andare al di là, oltre.

La trasgressione nella nostra società viene intesa spesso negativamente, come un non rispettare le regole esistenti, come la violazione e disobbedienza ad esse; è il superare “i limiti” di un qualcosa. Quello della trasgressione è un impulso insito nell’uomo che gli ha dato la possibilità, nella sua storia evolutiva, di sperimentarsi, di conoscersi, di ricercare e trovare nuovi limiti e confini sia all’interno del suo corpo che fuori. E’ ciò che ha permesso, e ci permette ogni giorno, di poter godere delle più grandi scoperte e invenzioni, da quella del fuoco alla teoria eliocentrica. Lo sviluppo materiale, morale, intellettuale e spirituale dell’uomo è dipeso dalla sua capacità di dire “no” a tutto ciò che limitava la sua coscienza, la sua mente, la sua azione. Le autorità civili e religiose hanno spesso vietato, direi quasi sempre, il “no” perché il cambiamento, il nuovo, l’abbandono del rassicurante anche se scomodo “vecchio” ha sempre impaurito, e continua tutt’ora ad impaurire, proprio per l’imprevedibilità a cui si va incontro attraverso il cambiamento. A poco sono servite, o servono, le condanne a morte o spirituali, le prigioni, i castighi e le pene per i pensatori grandiosi e “trasgressivi”: un “sano trasgressivo” non si può infatti sottrarre a quell’atto di volontà che lo psicologo Jung chiama “Legge del Proprio Essere”, ovvero quella spinta interna che ci porta a diventare noi stessi, sfidando i limiti e i conflitti di ogni genere. E’ la nostra sopravvivenza creativa, la nostra individualità.

La trasgressione, così presentata e contestualizzata, ha certamente connotazione positiva, in quanto è l’elemento creativo che rappresenta per l’uomo una sana evoluzione, un non ripiegamento, una spinta motrice al cambiamento e rinnovamento.

Alla trasgressione “sana”, che è quella di cui abbiamo discusso, si contrappone però una trasgressione “non sana”, lontana dalla creatività e dalla curiosità e vicina invece alla necessità di stupire, di compiacere e autocompiacersi, dove il trasgredire diventa quasi un “obbligo”, una regola sociale, non da rivisitare ma rispettare e il senso delle azioni resta completamento sconnesso dai pensieri. In questo modo è facile che subentrino inevitabilmente crisi di identità e sensi di colpa, proprio perché non si crede in ciò che si fa, oltre che una maggiore esposizione a rischi e pericoli.

La trasgressione “sana” è proprio quella che non diventa a sua volta regola di massa a cui conformarsi ma resta “unica”, diversa per ogni individuo, attraverso cui realizzare la propria autenticità.

 

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