LA SPENDING REVIEW

La terminologia anglofona fa molto a la page, fa tendenza e aiuta molto a non capire di cosa si parla. Oggi i termini più inflazionati, nei giornali e nei telegiornali, sono “spread” e “spending review”, unità di senso estrapolate dal loro habitat linguistico – quello dell’economia – e scaraventate nel linguaggio quotidiano, dentro il quale l’utente comune della lingua italiana si aggira spesso spaesato e premuto da un’indicibile senso di inadeguatezza, a fronte della sua sostanziale incomprensione.

La spending review è una procedura di riconsiderazione, ricalibrazione, ridefinizione della spesa. Una procedura di analisi della qualità dei capitoli di spesa, al fine di razionalizzare, ottimizzare il rapporto costi-benefici, e laddove possibile ridurre le spese.

Come spesso accade, il significato denotativo di un segno linguistico scivola silenziosamente e inesorabilmente dietro il suo alone connotativo, fino a smarrirsi del tutto in questo, che lo sostituisce in pieno: è quello che è successo al termine in questione, il cui senso denotativo precedentemente illustrato ha lasciato posto ad un uso connotativo che ha rimpiazzato quello. E così la spending review è diventata una….tecnica di risparmio, di taglio della spesa. Con l’obiettivo di tagliare e basta.

Ciò di cui stiamo parlando ha dignità di attenzione solo e soltanto perché rientra nel gioco politico, ma prima ancora economico, che si sta consumando nel pianeta, come un enorme Risiko di carne e di sangue, a spese di masse sempre più private dell’essenziale e al contempo dei diritti fondamentali che erano stati conquistati nei decenni caldi fra il ’45 e gli anni ’70.

Ciò che permette ad un sottosegretario del governo di affermare (senza farlo, ovviamente) che gli italiani non lavorano, in spregio ai milioni di lavoratori che ogni giorno consumano la loro esperienza di fatica, di povertà e di incertezza, è qualcosa che ha a che fare con la sommessa – e sommersa – lotta di classe che, per dirla con Gallino, si sta svolgendo oltre la lotta di classe. Una esigua fetta di società che detiene il potere e la ricchezza e una moltitudine di individui cui è negato – progressivamente e logaritmicamente – il diritto al welfare, allo studio, al lavoro stesso.

Una colossale redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto.

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