La scuola siciliana è migliore di quella scandinava: ora c’è la prova

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola 

Il mondo intero (per dire), negli ultimi anni, ha finanziato incessantemente programmi di istruzione che prevedono l’introduzione di tecnologie innovative e performanti: tablet per gli studenti, computer per i docenti e lavagne interattive e tante altre tecno-diavolerie, da Blade Runner e Matrix. Al punto che, a volte, l’intelligenza artificiale sembrerebbe risucchiare la scoppiettante maestra “in faccia, dubbi e voce”. E il paesaggio scandinavo e il sistema svedese in particolare rappresentano sotto questa luce un modello virtuoso e invidiabile, a cui tanti Paesi anelano (talora arrancando faticosamente). La Svezia vede la digitalizzazione scolastica più avanzata rispetto ad altre nazioni, poiché, ad esempio, prevede regolarmente i tablet già per gli allievi della Scuola dell’Infanzia (bambini dai sei anni in giù). 

Tuttavia, qualcosa è cambiato. Rivoluzione! Quando meno te lo aspetti. Proprio la Svezia adesso promuove a scuola il ritorno alla carta e alla penna e dice bye bye alle nuove tecnologie, perché tablet e computer e altre super-tecno mirabilie compromettono l’apprendimento e la memoria. Esti! 

E noi? Le Scuole dell’Infanzia e i primissimi anni della Primaria sono da sempre e tuttora il regno incontrastato dei cartoncini, dei foglioni, dei quadernoni profumati e dei pasticci d’inchiostro, dei libri stropicciosi e colorosi, degli scarabocchi, dei pregrafismi e delle pre letture più arditi a viva-mano e a viva-voce in gruppo, dei circoletti di condivisione e apprendimento, delle canzoni diversamente intonate a squarciagola, delle manipolazioni nell’agitarsi frenetico delle mani, dei mille lavoretti tangibili e frangibili, delle opere d’arte di tutte e sette le arti (pittura, scultura, architettura “natalizia”, poesia e letteratura, musica, danza, teatro compreso e recite memorabili), del gioco libero, del contatto incessante, di spintoni illegali, della corsa nel giardino o nel cortile o nella sezione, e via dicendo.

Ironie a parte, gli ottimi svedesi ora hanno deciso per legge di accogliere gli studenti a scuola quest’anno con una insospettabile novità che ha i lineamenti di un clamoroso “a volte ritornano”. Il potere dell’antico eterno ritorno. La scelta di rendere meno tecnologica la scuola lì è suggerita da un’emergenza educativa e didattica: il calo generale dell’apprendimento, della capacità di leggere e memorizzare e ricordare le informazioni. D’altro canto, il dato su tale involuzione riflette un trend simile registrato in tutto il mondo. Al fine di porvi rimedio e tentare di recuperare le abilità che gli allievi svedesi stanno perdendo, la scuola da ora è tornata ad essere in “carta e ossa”. Più esattamente, la nuova/vecchia didattica “carta e penna” diventa obbligatoria almeno per tutti i bambini di età inferiore ai sei anni. L’idea sottesa alla definizione di questo confine è chiara. La esprimo con parole mie: rappresenta il limite per non incrinare, canalizzare, comprimere, distrarre, corrompere e compromettere l’apprendimento in una fase evolutiva così decisiva e delicata nel ciclo vitale. 

Inizialmente il rischio ora è che la didattica possa sembrare noiosa per gli allievi, già assuefatti amorosamente a tablet, computer e cellulari, fuori e dentro la classe, in una società che ai loro occhi appare più veloce, immediata, facile e sovrastimolante dall’esterno (il dispositivo che genera sollecitazioni rapide e continue) e dunque più divertente. Eppure è fondamentale tornare a una “didattica cartacea”, incentrata sulla creatività dell’organismo in evoluzione e sulle capacità e passioni ideali di docenti intensi e carismatici.

Fosse per me, lo confesso, la scuola dovrebbe rimanere essenzialmente in “carta e psiche” fino almeno alla “terza media”. 

Che non ci si dovesse buttare sulla tecnologia, perché non fa tanto bene, in alcune scuole (anche “elementari” e “medie”) del Sud d’Italia l’avevamo già capito da sempre, a giudicare dalla lentezza pachidermica dello sviluppo digitale e dell’evoluzione tecno-didattica. Pensavamo di essere indietro rispetto ai super-nordici per mancanza di finanziamenti e miopia culturale. E invece no! Eravamo avanzatissimi. Il nostro ritardo era frutto di un ponderoso e savio discernimento politico e di una lungimirante sapienza psico-pedagogica e socio-didattica. Chi l’avrebbe detto mai? 

Modestamente, sin dai tempi di Archimede e della Magna Grecia, ci arriviamo prima di tutti gli altri. Prima dell’Unione Europea, dei Paesi scandinavi più progrediti e delle più prestigiose e citate università Usa. D’altronde, se la Montessori non è nata ad Helsinki o a Detroit, ci sarà un motivo. E se Michelangelo non ha dipinto la Cappella Sistina con la punta di un ditino (o un mouse) sulla lavagna elettronica, ci sarà un motivo. Vuoi mettere la gioia che una creatura umana prova solo nell’intingere le mani sozze sulla materia dura? Pare che solo così ci sia data la possibilità. La possibilità di sfiorare con un dito lo spirito di Dio.

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