LA «PLASTISFERA»

Si calcola che annualmente vengono prodotti circa 260 milioni di tonnellate di plastica delle quali  non meno del 10% finisce in mare (o direttamente dalla terraferma per l’80% o dalle navi per il 20%). In un dossier pubblicato dal WWF viene stimata in milioni di tonnellate la quantità di rifiuti che negli anni si è accumulata nei mari di tutto il mondo. Uno studio dell’ONU ha addirittura calcolato che questi frammenti ammontano a circa 100 milioni di tonnellate con una media di 46 mila pezzi di plastica per Km2 .

In massima parte si tratta di plastica non biodegradabile che sottoposta alle continue sollecitazioni meccaniche e chimiche delle acque e ai raggi ultravioletti, finisce pian piano per frantumarsi in microframmenti di 20 – 50 micròmetri di diametro con danni devastanti per gli ecosistemi.

Tali particelle infatti  interferiscono negli scambi gassosi tra la superfice ed i fondali provocando anossia e quindi la morte della maggior parte degli organismi di un ecosistema. Inoltre, come già noto da tempo, questi microframmenti vanno incontro al fenomeno del bioaccumulo (in quanto si depositano nei tessuti dei pesci e altri animali nei quali causano diverse patologie per  interferenze a livello del sistema immunitario ed endocrino) ed entrano nella catena alimentare arrivando inevitabilmente anche nei piatti delle nostre tavole.

Come se non bastasse, a questo fenomeno si è aggiunto un altro preoccupante aspetto. Analizzando da un punto di vista microbiologico questi frammenti plastici, ricercatori della statunitense Woods Hole Oceanographic Institution ( la più grande istituzione privata di ricerca oceanografica del mondo) hanno scoperto più di 1000 tipi diversi di microrganismi che riescono a colonizzare i microframmenti costituendo una vera e propria comunità biologica che con un neologismo è stata denominata “plastisfera”, che a tutti gli effetti può considerarsi una nicchia ecologica marina.

I microrganismi che compongono le comunità che vivono sui Detriti Plastici Marini (PMD) sono stati identificati tramite Microscopia Elettronica a Scansione e sequenziamento del DNA. Sono stati trovati eterotrofi , autotrofi , predatori e simbionti. L’analisi delle superfici ha suggerito ai ricercatori che possa esserci una idrolisi attiva del polimero idrocarburico da parte dei batteri.  Alcuni membri della Plastisfera possono essere patogeni opportunisti come il genere Vibrio (a volte quasi il 25% della comunità batterica), altri sono distinti da quelli presenti nelle acque circostanti, il che implica che la plastica serve come nuovo  habitat ecologico. Il “successo” della plastica consiste nel possedere una emivita più lunga rispetto ai substrati naturali marini galleggianti, e nell’avere una superficie idrofoba che promuove la colonizzazione batterica e la formazione di biofilm.

A suscitare apprensione sulle interferenze con gli ecosistemi acquatici sono diversi aspetti: innanzititto si tratta, in parte, di  microorganismi diversi da quelli che  normalmente si trovano in acqua; inoltre, proliferando sui frammenti di plastica , con essi vengono trascinati e trasportati dalle correnti  in maniera inedita e non possibile in passato e poichè, secondo i ricercatori, queste microcomunità ospitano anche batteri ‘supercolonizzatori’ e nocivi per gli animali e per l’uomo, c’è il rischio che le patologie possono diffondersi molto velocemente rispetto a prima.

Secondo la biologa marina Tracy Mincer, la superproliferazione di queste comunità batteriche si spiegherebbe col fatto che,  frammenti plastici di determinate dimensioni (circa 5mm) vengono ingeriti dai pesci e poi espulsi: in questo “passaggio digestivo” i microrganismi troverebbero un ambiente idoneo e ricco di sostanze nutrienti per riprodursi.

Dall’analisi comparata dei dati si è scoperto anche che la composizione delle comunità batteriche  dipende dal tipo di plastica, cioè si è visto che determinati tipi di microrganismi prediligono o crescono solamente su determinati tipologie di polimeri. Si è osservato che le diatomee  colonizzano i PMD entro la prima settimana, seguite poi dai batteri . Nel tempo la comunità cambia e altri gruppi come ciliati sessili colonizzano la plastica; le comunità si sviluppano più lentamente nel polistirene rispetto agli altri substrati.

Questi studi sono stati pubblicati sulla rivista Environmental Science&Technology (Life in the “Plastisphere”: Microbial Communities on Plastic Marine Debris) e discussi all’Ocean Sciences Meeting 2014  appena conclusosi.

«Uno dei vantaggi di conoscere la plastisfera e come interagisce con le comunità in generale, è che possiamo essere in grado di informare gli scienziati sulle caratteristiche dei materiali e su come renderli migliori e, se dovessero finire in mare, trovare il modo che abbiano il minor impatto possibile».                                                                       

 

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