LA PIZZA

Tempo fa, e neanche tanto, proporre qualcosa fra amici portava sempre con sé il peso di un’inestimabile impegno: ci si riuniva, difatti, per ascoltare musica, per vedere un film, per discutere, (al limite, ma proprio al limite, per fumare uno spinello e condividere un trip…..), e così via in un crescendo di compenetrazione reciproca, di disponibilità e reale interesse per l’altro.

Premessa fondamentale da cui si partiva era ovviamente che si stesse insieme per “comunicare”, intendendo però quest’ultimo concetto nella sua accezione più radicale: quella di “mettere in comunione”.

Oggi, quando qualcuno propone qualcosa, nell’intenzione di trascorrere insieme ad altri un po’ del suo tempo, dirà: “mangiamo una pizza?”, e l’obiettivo sarà quello di fare un bagno totale nell’insipienza delle cose e delle  relazioni, nel frastuono dei locali, nell’appiccicaticcio delle attese, snervanti quanto inconcludenti, che ti servano.

Naturalmente, il punto non è tanto quanto tempo occorre per mangiarla la pizza, bensì quale tempo si stanzia per fare quella cosa che chiamiamo “mangiare la pizza”, che in culture avanzate normalmente prende giusto il tempo di consumare velocemente il pasto per poi fare altro, ben più desiderabile e di valore.

Il paragone fra ciò che si faceva una volta e ciò che si fa ora è impietoso: secoli sembrano dividere la mentalità nella quale si viveva trenta anni fa e quella nella quale si galleggia oggi, secoli a separare una cultura della scoperta dell’altro da una cultura della delusione dell’altro, nella quale ultima stare con qualcuno significa togliersi dall’impiccio di non sapere a chi chiedere un po’ di compagnia.

Ma “la pizza” è qualcosa che va anche oltre questa semplice considerazione: scavando bene si trova un vissuto della corrispondenza fra ciò che fai e ciò che sei, specie quando aderisci a un codice condiviso di valori e di aspettative in cui tutto è registrato e previsto.

Ma andiamo con ordine.

La pizza nasce come alimento povero ma completo che – come tutti i cibi poveri – sostituisce qualcosa. Pane, mozzarella e pomodoro chiudono, con la loro triade, il cerchio nutrizionale dei carboidrati, delle proteine e delle fibre. Mangiare la pizza significava, nella sua accezione più originaria,  appartenere al banchetto dei poveri, ma trattandosi bene (nei limiti del possibile).

Oggi l’elemento pizza è caricato di una quantità di incredibili complicazioni e varianti, fra le quali la scelta diventa oggetto di certificazione astrologica: capricciosa, bufalina, 007, prataiola, tirolese, 4 formaggi, contadina, cittadina, in un caleidoscopio di richiami, di universi anche molto lontani ed esotici, che dovrebbero assegnare alla pizza uno status di alimento raffinato. Per cui succede che insieme alla carta dei cibi e dei vini oggi esista una carta delle pizze, fra le quali scegliere è divenuto una trasposizione della scelta fra un dentice al sale e una spigola all’acqua di mare. Abbiamo detto – non a caso – dovrebbero: poiché se è vero che la scelta fra le pizze si è complicata, è tuttavia vero – tragicamente vero – che la scelta continua ad essere sostitutiva di una scelta ricca ed economicamente impegnativa (i 12/20 € della pizza contro i 30/50 € della carne/pesce…..)!

Sembra il gioco del “come se…..”: facciamo finta che siamo ricchi e mangiamo la pizza scegliendola da una carta. Può sembrare casuale che oggi i locali sempre di più amino separare la sala della pizzeria dalla saletta del ristorante? Il gioco delle apparenze, svuotato di ogni consapevolezza che si tratti appunto di un gioco, si prolunga nel comparto delle relazioni umane, proponendosi per ciò che si vuole che sia: un rito pagano della glorificazione del vuoto, che sta sotto, celato tuttavia dall’immagine del pieno, che sta sopra (il pieno essendo egregiamente mimato dalla quantità esagerata di ingredienti che vengono abitualmente sbattuti all’interno di una pizza media).

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