LA LAUREA DELLA NOSTRA MARTINA ARENA

Relatore il Ch.mo prof. Giuseppe Santisi, presso l’Università di Catania con una tesi su “LAVORO PENITENZIARIO E CARCERE: POTENZIALITÀ E PROBLEMI GESTIONALI, si è laureata in scienze dell-educazione e della formazione  con 110 su 110 e la lode la nostra collaboratrice Martina Arena aspiramte giornalista di Ragusa Oggi. Alla dott.ssa Martina i complimenti e gli auguri più affettuosi della direzione, della redazione, dello staff tecnico-editoriale del nostro giornale gli auguri più belli. Prossima tappa iscrizione all’Albo dei giornalisti !!

Ma ecco una sintesi dello stupendo lavoro della tesi

Il lavoro di tesi presentato nella dissertazione prende spunto dall’attività di tirocinio formativo svolta presso la Casa Circondariale di Ragusa, per conto dell’Università di Catania nell’anno accademico 2010/2011.

L’analisi prende le mosse a partire da una presentazione generale dell’istituzione carceraria, descrivendone il processo storico evolutivo che ne ha investito la natura e la funzione, agli albori prettamente custodialistica, poi esclusivamente punitiva e soltanto in fine potenzialmente rieducativa. Il trait d’union fra una fase e l’altra, ciò che ha favorito l’attenuazione del carattere afflittivo dell’esecuzione penale, promuovendone via via un’efficacia riabilitativa volta al reinserimento sociale del reo, si è identificato e nella necessità di garantire sicurezza ed ordine sociale all’interno di un qualsiasi assetto statale e nell’urgenza di riconoscere e garantire il valore della dignità umana, sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948.

In Italia la Costituzione del ’47 e la L. 354/75 si sono fatte sostenitrici di tali esigenze al punto tale da: vietare qualsiasi pena contraria al senso di umanità; rendere inammissibile la pena di morte; ridurre l’autoreferenzialità dell’amministrazione penitenziaria, incentivando una gestione di rete fra carcere ed enti territoriali;  promuovere il trattamento individualizzato del reo, ai fini del suo reinserimento sociale, attraverso gli elementi del trattamento (art. 15 O.P.) che vedono primo fra tutti il lavoro, elemento principale nonché obbligatorio.

Quest’ultimo lo si è poi analizzato e da un punto di vista giuridico e da un punto di vista psicologico: in proposito i riferimenti sono andati all’Ordinamento Penitenziario (artt. 20 e 21) e alla Psicologia del Lavoro, la quale indaga sulle potenzialità della pratica lavorativa in generale, rilevandone l’incidenza sui processi di ricostruzione del Sé, a partire dalla funzione energizzante che la fa essere una spinta propulsiva al cambiamento. Tuttavia è necessario che essa sia congeniale ed appropriata alla persona (Super, 1980) affinché possa vantare il possesso, accanto alle funzioni manifeste relative ai guadagni, delle funzioni latenti (Jahoda, 1982). 

Il lavoro infatti struttura il tempo, facilita i contatti sociali, potenzia le possibilità di svolgere attività, favorisce i collegamenti fra scopi individuali e collettivi, contribuisce alla creazione di un ruolo e di un’identità sociali; inoltre è strettamente connesso al sentimento di soddisfazione che scaturisce dalla consapevolezza di aver conseguito degli obiettivi mediante il suo esercizio.

Dal motivare le ragioni per cui risulterebbe proficuo, ai fini del  reinserimento sociale del condannato, avvalorare ed ottimizzare la pratica lavorativa come elemento  del trattamento, si è infine passati ad esaminare le reali condizioni riguardanti l’occupazione lavorativa dei condannati e il più ampio contesto penitenziario, rinvenendo il gap fra teoria e prassi, normatività ed esecutività.  L’ambizioso progetto rieducativo s’imbatte in una realtà che trova limiti nella fatiscenza delle strutture, nella scarsità di fondi finanziari, nella disconoscenza delle leggi da parte del mondo imprenditoriale e cooperativistico, con la conseguente disoccupazione o precarietà lavorativa dei soggetti incorsi in reato,  nella scarsa o quasi nulla progettazione lavorativa, nella mancata attualizzazione del lavoro di rete fra carcere ed Enti,  nella difficoltà insita nel lavoro sociale, spesso causa di sindromi da burn-out negli operatori.

Al fine di un’attenta disamina delle problematiche relazionali e gestionali interne al mondo penitenziario, notevole è stato il contributo derivante dal volume sul progetto “Pandora”, quest’ultimo promosso dall’Istituto Superiore di Studi Penitenziari in collaborazione con l’Università di Firenze. Esso soleva incrementare nei GOT la cultura e la pratica del lavoro integrato, al fine di sommare le diverse competenze professionali, sottoponendole ad una continua rivisitazione e riprogettazione partecipata, tesa a demolire qualsiasi sapere assolutistico. Il reinserimento sociale del reo dipende pertanto non soltanto da come ciascuna parte svolge il proprio lavoro, ma soprattutto da come le diverse parti cooperano l’una con l’altra, all’interno e all’esterno dell’istituzione carceraria.  La limitata registrazione di recuperi effettivi altro non è se non la diretta conseguenza della sclerotizzazione dei compiti, della frammentarietà dei lavori, dell’autoreferenzialità dell’istituzione carceraria. Ciò che si vuole proporre, recuperando oltretutto una dimensione legislativa rappresentata dalla L.  328/00, è un lavoro sinergico fra carcere, Enti Locali, Regioni, Volontariato, Terzo Settore e comunità, quest’ultima determinante, forse più di ogni altra realtà, sul futuro del condannato; infatti i problemi sociali non si configurano come realtà definite comprensibili attraverso categorie monolitiche, quanto piuttosto come costruzioni sociali sulle quali grava il peso degli stereotipi e delle rappresentazioni che le persone tendono a farsi rispetto ad un problema.  

In conclusione, finché ci si ostinerà a demandare la gestione della criminalità unicamente all’istituzione carceraria, pensata oltretutto come risposta d’emergenza priva del tempo della progettazione e lacerata dalla secolare antinomia fra punizione e riabilitazione, difficilmente si riuscirà nell’intento rieducativo, il quale si darà esclusivamente come sogno utopico.

 

                                                                       

 

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