La generazione “Blanco” è figlia della “Amadeus” (la mia). Di questo passo, Sanremo tutti fregati

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

La feroce colluttazione tra i gerani di Sanremo e l’aitante cantante Blanco ha visto i fiori avere decisamente la peggio. E con essi le nostre idee sull’universo.

Io voglio bene al ragazzo e non intendo affatto criminalizzarlo: potrebbe essere mio figlio. Ma mai il mio giardiniere! Per il lavoro che faccio, tendo a interpretare e giudicare le condotte, non le persone. A Blanco non perdono solo una cosa: mi ha costretto ad anticipare di un giorno l’uscita dell’articolo (per inseguire il mood del topic).

Per quei pochi che, in gita in Uganda da settimane, non sapessero di cosa stiamo vanverando, Blanco è il giovanissimo cantante che nella prima serata del festival di Sanremo si è improvvisamente e lungamente scagliato contro l’inerme scenografia allibita che, per quanto non esteticamente irreprensibile, non meritava di essere trattata così. E non oso immaginare cosa abbia pensato il savio e più composto Mattarella sull’arrangiamento della canzone!

BLANCO, TUTTO PIANIFICATO?

Secondo una minoranza di retro-commentatori, tutto l’ambaradan era organizzato e pianificato e confezionato come un bel mazzo di rose, così come lo stesso Blanco forse si è lasciato sfuggire quando ha biascicato: “Lo volevo fare comunque.”, rispondendo con il sorriso eloquente ad un imperscrutabile Amadeus, che gli chiedeva, bonario, il perché avesse spaccato i vasi e i fiori, con il tono severo e inquisitorio di un barista che ti chiede se il ginseng lo preferisci lungo e con uno spruzzo di cannella.
Tutto recitato? Mah! Non lo sapremo mai. I misteri italiani rimangono tali per decenni. Spero di camparci.

BLANCO, UN RAPTUS INFANTILE?

Altri, financo sociologi e psico-pedagogisti, alludono invece a una sorta di autentico e imprevedibile “raptus infantile” di un soggetto che, dinanzi a un fastidio tecnico all’auricolare, non sostenendo la frustrazione, sclera in modo inenarrabilis. Eppure il ragazzo minimizza sorridendo durante e dopo l’accaduto: “L’audio non funzionava, volevo divertirmi lo stesso e ho pensato di distruggere tutto.” A me non ha dato l’idea di un uomo incapace di regolare le proprie emozioni, che, in preda all’ira, perde il controllo di se stesso sul palco. “La cosa bella della musica è che non bisogna sempre seguire uno schema.” Coperto dai fischi, Blanco ha tentato di spiegare al pubblico la svolta della sua esibizione. E non ha migliorato le cose. “Purtroppo non sentivo in cuffia, ma mi sono comunque divertito.” Non mi sento di escludere che il cantante abbia scimmiottato i grandi del passato cavalcando forsennatamente stereotipi e cliché per incauta mimesi.

Il punto è un altro. Il padrone di casa, Amadeus, non rimprovera il giovane ospite e inizialmente minimizza anche lui benevolmente. Poi, al cospetto di un pubblico imbestialito, prova a giustificare l’ingiustificabile atto vandalico da “genitore-amico”. Si rivolge alla platea, quasi sfidandola: “Potete fischiare, ma Blanco tornerà sul palco a cantare.” E Blanco non ha motivo di mostrarsi costernato per il suo comportamento, ride sornione. Non comprende, anche perché il contesto lo giustifica dall’alto.

Io critico il comportamento di Blanco e non sottovaluto le sue responsabilità individuali (non è comunque un bambino di tre anni). Ho simpatia e rispetto per Amadeus e la sua buona fede. Lo prendo solo ad esempio, in un gioco di metafore: la “generazione Blanco” esiste solo perché esiste la “generazione Amadeus” (la mia). Non pretendo che Sanremo sia educativo. Ma non può essere diseducativo. Guardate cosa accade oggi nella scuola innanzitutto, e nelle piazze, nelle discoteche. In un lieto fine, Morandi, saggio e istrionico, entra con una scopa e prova a pulire la strage di fiori sparsi sul palco. Ma in un universo giusto, a ripulire tutto sarebbero dovuti essere Blanco e Amadeus. Col mocio di mia zia. In mondovisione. In una lezione di pedagogia reale e indimenticabile. Perché i ragazzi vedessero che, per pensarsi liberi, bisogna prima pensare la libertà degli altri. Tra le spine del rispetto. Che non è scritto solo nella Costituzione. E non solo in una maglietta da milioni di followers.

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