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INTERVISTA AL GIORNALISTA E SCRITTORE FERNANDO RICCARDI
18 Nov 2013 05:31
Sabato 16 novembre a Palazzo Garofalo, qui a Ragusa, è stato presentato un libro di Fernando Riccardi intitolato Brigantaggio Postunitario. Una storia tutta da scrivere, organizzata dal direttore del Museo L’Italia in Africa 1885-1960, Mario Nobile, ha fatto egregiamente da moderatore il dott. Giovanni Ottaviano ed è stata una straordinaria lezione di storia.
Dott. Riccardi si presenti
“Sono un giornalista che ha da sempre una grande passione per la storia. Specialmente per gli eventi che la vulgata storiografica dominante ha scientemente trascurato, minimizzato o addirittura nascosto. E il brigantaggio postunitario è sicuramente uno di questi. Sono 25 anni che scandaglio gli archivi di tutta Italia alla ricerca di documenti e di faldoni che, il più delle volte, nessuno ha mai consultato. Ed è proprio da quelle carte ingiallite che si comprende perfettamente che quella del brigantaggio è un’altra storia negata”.
Vuole spiegare con parole sue quello che, pur col titolo molto esplicativo si può intuire, è il contenuto del testo?
“Il brigantaggio del periodo postunitario è una storia ancora tutta da scrivere. Per tantissimo tempo di ciò che accadde nel Meridione d’Italia dopo il 1860 e l’invasione garibaldin-piemontese nessuno volle parlare. E quei pochi che lo fecero non sempre, anzi quasi mai, usarono le parole giuste. E tale situazione si è protratta per molto, anzi troppo, tempo. Fino a quando qualcuno, ed il primo è stato Franco Molfese, iniziò, sia pure con grande difficoltà e tra l’ostracismo e l’ostilità dei più, a scoperchiare il pentolone mefitico delle bugie ed a far conoscere tutto quello che successe nel sud della Penisola per dieci lunghi anni ed anche di più. Il mio libro si colloca proprio lungo tale scia ed è significativo il fatto che esso sia stato editato proprio nel 2011, ossia nel 150° anniversario della “mala” unità d’Italia. L’intenzione primaria, insomma, è stata quella di smascherare le tante, colossali ed abnormi bugie che sul brigantaggio postunitario sono state dette nel corso degli anni. Spero, sia pure in minima parte, di esserci riuscito”.
Perché la storia dell’Unità d’Italia?
“Perché, a ben vedere, tutto parte da qui. E’ il modo con cui è stata realizzata l’unità d’Italia, una vera e propria aggressione ‘manu militari’ da parte dei piemontesi, che ha determinato l’esplosione virulenta del brigantaggio. Nell’Italia meridionale il brigantaggio è esistito da sempre, fin dal tempo dei Romani. Un fatto, però, è certo ed indiscutibile: è dopo il 1860 che il fenomeno acquista dimensioni eclatanti che mai aveva avuto in passato. E questo vorrà pur dire qualcosa”.
Venendo ai protagonisti storici, a scuola ci hanno sempre insegnato che Garibaldi era l’eroe dei due mondi, l’impresa dei Mille una liberazione dai Borbone, Cavour un grande statista e che ha unificato l’Italia con la sua lungimiranza, ed il re savoiardo uno all’altezza del compito, Ippolito Nievo un grande letterato e patriota dato che fu un garibaldino…. I briganti solo criminali assassini. A quanto pare come spesso accade non è questa la verità. Vuole dire come andò in realtà?
“ Lo ripeto: per tantissimo tempo ci hanno raccontato un sacco di bugie. I padri della patria, i Mille, le intrepide camicie rosse da un lato, i Borbone e i briganti dall’altro. Ossia da un lato i buoni ed i virtuosi, dall’altro i brutti e i cattivi. Una divisione manichea inaccettabile, sbagliata ed inconcepibile. Un esempio clamoroso di come sono state considerate le cose dai ringhiosi molossi dell’ortodossia risorgimentale è la vicenda, assai poco conosciuta, di Ippolito Nievo, garibaldino della prima ora e responsabile economico della spedizione dei Mille in Sicilia. Quando scoppiò clamorosa la polemica tra Cavour e Garibaldi, con il primo che accusava il nizzardo di aver usato i fondi in maniera fin troppo disinvolta, fu proprio Ippolito Nievo che si recò in Sicilia per recuperare i libri contabili. Garibaldi, infatti, voleva dimostrare a tutti i costi che la sua era stata una gestione virtuosa. Cosa che, però, non riuscì a fare perché il piroscafo che lo riportava in continente si inabissò all’improvviso mentre stava per giungere al porto di Napoli. Eppure il mare era piatto come una tavola… E così il giovane Nievo finì in fondo al mare portando con sé due voluminose casse di documenti compromettenti. Ma per chi? Per Garibaldi o per Cavour? Mistero. Mistero fitto ed inestricabile. Uno dei tanti che infarciscono il processo che condusse all’unificazione italiana. E così il povero Ippolito finì per rimanere vittima inconsapevole del “fuoco amico”. Ma di questo non si trova traccia alcuna nei libri di storia.
Perché, a Suo parere hanno voluto questi falsi storici?
“Per una ragione molto chiara: perché non si voleva ombreggiare o rendere meno patinata e meno eroica la ridondante vulgata risorgimentale che doveva rifulgere a tutto tondo. Ecco perché sono state confezionate ad arte così tante bugie avallate da storici prezzolati o per lo meno scientificamente disinvolti. Anche perché, da che mondo è mondo, la storia la scrivono sempre e comunque i vincitori”.
Il brigantaggio a quali risultati ha portato?
“Purtroppo a niente. La lotta disperata e senza quartiere che è andata avanti per dieci anni ed anche di più, alla fine risultò vana e, soprattutto, non produsse gli effetti sperati. Ci fu soltanto un immane bagno di sangue con il Meridione, trasformato in una landa desolata ed inospitale, che si vede privato delle sue migliori energie. Non a caso, esauritosi il brigantaggio, subito iniziò il calvario della emigrazione, un’altra sciagura epocale sulla quale non ci si sofferma adeguatamente. Deposto lo schioppo il brigante si trasformò in emigrante. E, francamente, non so dire quale situazione sia stata peggiore”.
Il Regno delle Due Sicilie, scomparendo nell’unificazione dell’Italia che cosa ha comportato per la popolazione e la Sicilia in particolare?
“Di certo un sensibile peggioramento delle condizioni di vita. Quei progressi che i più ottimisti ritenevano di poter conseguire con l’unificazione della Penisola non ci furono assolutamente. E questo fu subito evidente a tutti. Anche a quegli esuli regnicoli che erano tornati in patria con tante aspettative che poi alla fine si rivelarono fallaci. L’unità d’Italia, insomma, non fu un affare né per il meridione né per la Sicilia. Fu un affare, invece, e dalle dimensioni colossali, per i ‘galantuomini’ che, dopo essersi abilmente riciclati passando dai Borbone ai Savoia, diventarono più ricchi e boriosi di prima. Furono loro, a ben vedere, i veri vincitori di una partita interamente giocata sulla schiena da sempre greve ed onusta della gente del Sud”.
Certamente sa, nella scuola, la storia è quasi soppressa e quando ancora si insegna, ha poca presa sugli studenti, anche perché le riforme che si susseguono, peggiorano sempre di più questo tipo di insegnamento. Cosa auspicherebbe?
“Una rivoluzione copernicana che non ci sarà mai. Anche perché non c’è interesse a cambiare le cose. Per quel che mi riguarda, assieme ad un gruppo di amici, da anni teniamo seminari negli istituti superiori nel tentativo di procurare una radicale inversione di tendenza, facendo conoscere la storia vera dell’unità d’Italia, quella che non è mai stata raccontata. L’impresa è ardua ma stiamo ottenendo risultati che vanno al di là di ogni pur rosea aspettativa. C’è sete di verità anche nelle scuole pubbliche. Ed è questo che ci spinge ad andare avanti”.
La ringrazio. A conclusione dell’intervista cosa vorrebbe dire con una frase ai lettori di Ragusa Oggi?
“Mi piace concludere questa piacevole chiacchierata ripetendo una frase di Franco Molfese. A quel tempo nel Meridione nonc’era da scegliere tra due alternative: vivere in ginocchio o morire in piedi. E furono in moltissimi quelli che scelsero la seconda strada e quindi morirono da briganti. Oggi, invece, noi abbiamo un’altra esigenza: quella di vivere rimanendo in piedi. E’ questa la partita che dobbiamo giocare e, possibilmente, vincere”.
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