IN SICILIA IL GOVERNO NON E’ PIU’ LOMBARDO

Con tre righe di nota, il segretario del PD Bersani (e con lui, il segretario regionale Lupo) hanno di fatto messo fine alla loro esperienza di governo con Raffaele Lombardo, rais di Sicilia, in procinto d’essere rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Scrive Bersani che i provvedimenti della procura di Catania “suscitano preoccupanti interrogativi che, al di là degli sviluppi giudiziari, investono il ruolo del presidente della Regione Sicilia”. Al di là degli sviluppi giudiziari vuol dire una sola cosa: non si aspetterà una sentenza per staccare la spina al governo Lombardo. Aggiunge Bersani che “questi fatti richiedono una riconsiderazione della situazione politica nel governo della Regione e della iniziativa del PD”. Se le parole non sono acqua di pioggia, Lombardo è già formalmente sfiduciato. Cos’è accaduto in questi ultimi giorni? Nulla. Meglio: nulla che non fosse già accaduto, conosciuto, dichiarato, scritto, verbalizzato da tempo. L’onorevole Raffaele Lombardo avrebbe chiesto voti a Cosa Nostra per sé e per i propri partiti (ne ha frequentati diversi). Le carte d’accusa dicono che Lombardo e il fratello Angelo (altro onorevole parlamentare dell’MPA) si sarebbero accordati “con la famiglia catanese di Cosa Nostra in un arco temporale particolarmente esteso per ricevere voti in numerose competizioni elettorali (elezioni europee del 1999, elezioni provinciali del 2003, elezioni europee del 2004, elezioni regionali e comunali del 2008) …con la promessa di attivarsi in favore della stessa organizzazione mafiosa nell’adozione di scelte politico-amministrative”. Insomma, voti in cambio “di concessioni, di autorizzazioni, di appalti, di servizi pubblici…”. In sostanza, alla mafia Lombardo e il suo partito avrebbero offerto “la propria completa disponibilità ad assecondare le esigenze della consorteria mafiosa”. Sono fatti, valutazioni, episodi noti da mesi. Le cene elettorali, i festeggiamenti dopo la vittoria alle regionali, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, le cinquemila pagine del rapporto d’accusa dei Ros, gli ottanta faldoni di atti e fatti giudiziari… Una storia imbarazzata già rivelata dai giornali, raccontata dagli atti ufficiali, consacrata nei verbali di intercettazioni ambientali, nei filmati, nelle foto… Ciò che ci dicono adesso i giudici è che hanno finito il loro lavoro e che chiedono il processo: e questo è mestiere loro. Mestiere della politica era altro: mettersi di fronte alle evidenze, senza nascondere la faccia dietro le procedure dei tribunali, e dire che governare con Raffaele Lombardo e con la sua cricca era una scelta eticamente e politicamente insostenibile. Oggi lo dice, con parole semplici, il segretario del PD Bersani. Come lo hanno detto per mesi, con parole di rabbia e di stupore, le migliaia di elettori del centrosinistra che due anni fa votarono per un loro candidato, Anna Finocchiaro, contrapposto a Lombardo e al suo spregiudicato sistema di clientele e di affari. Bastava conservare memoria di quella campagna elettorale, e di chi fosse, di chi sia sempre stato nella trincea della politica Raffaele Lombardo. Bastava questo, senza dover frugare nelle carte giudiziarie che lo riguardano, per ammettere l’indecenza dell’inciucio siciliano. Oggi Bersani lo dice, e gliene siamo grati, Dice che il giudizio suo e del suo partito non sarà vincolato, con la miopia di un notaio di paese, agli sviluppi giudiziari di questa inchiesta. Dice cose necessarie e opportune, le dice in ritardo ma le dice: e questo è ciò che importa. Imbarazza invece l’ostinazione con cui certi dirigenti del PD di laggiù continuano a far i sanculotti di Lombardo: come direbbe Totò, a prescindere. Dice l’onorevole Lumia, in fulgido politichese, che l’esperienza del governo Lombardo è “una sfida senza precedenti sulle riforme, già realizzate e da realizzare”. Chiosa Cracolici, capogruppo PD al consiglio regionale, che “questo clima da caccia alle streghe è insopportabile”. Caccia alle streghe? Ma quale caccia? Quali streghe? L’ex boss pentito di Cosa Nostra Gaetano D’Aquino racconta di un incontro elettorale prima delle regionali. C’era il boss Rosario Di Dio e parlò della “necessità di appoggiare l’Mpa e di votare Raffaele Lombardo”. Se qualcuno, dopo queste parole a verbale, ha voglia di continuare a scodinzolare attorno a Lombardo o di parlare di “sfida senza precedenti”, si accomodi. La faccia è sua.

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