IL PARTICOLARE ABITO DELLE SPOSE TUNISINE

E’ da tempo che si cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica ad abbandonare ogni forma di razzismo per pensare invece a percorsi di integrazione sociale e culturale. E’ stato questo il messaggio finale del convegno internazionale di studi dal titolo “Siciliani d’Africa” organizzato nel 2009 da Nuovo Cinema Italiano. Il Presidente, Arturo Mingardi, rappresenta il trade-union della nostra cultura con quella nord africana; infatti lo si può definire un profondo conoscitore e portavoce dell’integrazione tra i popoli nella nostra provincia.  Ruolo fondamentale anche quello della prof.ssa Rawdha Zaouchi-RAZGALLAH, la quale si è occupata tramite un articolo di spiegare per filo e per segno le tradizioni delle donne tunisine. In particolar modo illustra la moda della cerimonia nunziale e descrive gli abiti utilizzati durante i sette giorni del rito. Prendiamo ad esempio l’abito femminile, che ha giocato un ruolo nell’elaborazione del “tessuto vivente” della comunità tunisina. L’abito delle beduine e quello delle cittadine esprimono due società ermetiche tra le quali non c’è comunicazione.

Se i matrimoni sono delle feste rituali “ dove la parte del rito canalizza ogni espressione della festa”, in Tunisia i riti servivano in parte a fare ammirare tutto quello che le dita di una fanciulla erano capaci di confezionare per vestirsi. Sono tanto numerosi e tanto diversificati da vestirli gli uni sopra gli altri o l’uno dopo l’altro durante i sette giorni delle cerimonie nuziali.  Nelle grandi città, è evidente che la diversificazione dei vestiti da sposa è in relazione con i mezzi di cui dispongono le famiglie. Ma nel corso dei secoli passati, la società tunisina era più omogenea di quanto si possa credere. L’Islam era riuscito ad umanizzare i rapporti sociali in un modo che si segnava fino nell’abito. Così, era d’uso che le famiglie ricche prestavano i loro ornamenti alle ragazze povere che si sposavano. Quest’aiuto aveva un carattere nettamente religioso perché anche ricche vedove andavano fino a costituire in habous (bene inalienabile che non si vende mai) una toilette di cerimonia per le ragazze di classe sociale modesta appartenenti al loro villaggio. Si diceva spesso che un bel caftano prestato, era carico di baraka (benedizione di Dio).

 

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