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IL MUSEO DEL PARACARRO
04 Lug 2013 06:31
In Italia ci sono tantissimi musei, è noto ed alcuni sono anche molto particolari e, diciamolo pure, inusuali. Tra questi, tanto per citarne alcuni, c’è quello dei cuchi (piccolo strumento musicale); del cavatappi; della paglia e dell’intreccio; della etnomedicina; del papiro (Siracusa); del cognome; del vino primitivo; del clima; ecc.,
ma quello del paracarro? Sì, c’è anche quello, e si trova in una piccola frazione di Pergine Valsugana, all’ingresso della Valle dei Mocheni, Canezza, situato all’aperto (tanto non si rovina niente) in un piccolo parco, di recente costruzione, ed è davvero bello per la localizzazione incantevole e dotato di stradine, che si inoltrano tra alberi, cespugli e piccoli prati. I paracarri, arricchiscono il parco delimitando i sentieri e, sembra per un attimo, di essere su strade che accompagnano i passi “dove ti porta il cuore”.
In fondo, quando si vede su vecchie strade qualche pietra miliare o paracarro, ci si potrebbe porre la domanda di quante persone lo hanno superato e quanto sia stato importante per raggiungere una meta. Insomma, diciamo che c’è chi addirittura si è messo a collezionarli, per dare vita a un museo vero e proprio.
L’idea del museo è venuta a Dario Pegoretti, che era un operatore tecnico delle strade cioè, per 36 anni, è stato responsabile dell’illuminazione delle strade provinciali di Trento e ha anche gareggiato in bicicletta per 39 anni.
Vedendo alcune pietre miliari e paracarri che erano oramai desueti, abbandonati in un cantiere, notò il particolare che esse provenivano da strade dove si erano svolte famose corse ciclistiche e aveva collegato gli eroi sportivi con queste pietre. Sono oltre 100 le colonnine di pietra esposte che provengono da salite storiche del Giro d’Italia (Stelvio, Tonale, Fedaia, Pordoi…) e i grandi campioni che si sono distinti su quelle strade (Bartali, Coppi, Girardengo, Gimondi, Moser, Merckx…).
Ogni paracarro ha un cippo dove c’è scritto il nome del campione ciclista cui è dedicato, la provenienza e il tipo di pietra usato per il manufatto.
Con pazienza e sagacia, fantasia e dedizione Pegoretti ha dato forma e sostanza ad un progetto museale, riunendo in un solo posto tantissime forme di queste rocce stradali provenienti da tutta Italia e anche dall’estero.
Il signor Pegoretti continua a cercare antichi paracarri per le strade, ne trova tanti, ma non sempre ha il permesso di prelevarli per il museo di Canezza. Va comunque detto che si tratta di manufatti smessi, abbandonati e, comunque, non più utilizzati. Egli però chiede a tutti coloro che vedono un paracarro storico di fotografarlo e di inviare l’immagine con e-mail di pegorettidario@alice.it. Magari potrebbe anche succedere che proprio quel paracarro vada ad aggiungersi a quelli già al museo.
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