IL MARE: IL GRANDE MALATO

 

Si è svolto in Sudafrica il meeting inaugurale della Global Ocean Commission, un organismo indipendente formato da economisti, scienziati ed ex politici. L’incontro ha analizzato gli studi eseguiti dalla Fao, dalla Banca Mondiale e dalla National Geographic Society riguardanti la situazione disastrosa in cui versano gli oceani. Le stime ci raccontano che l’inquinamento e lo sfruttamento  indiscriminato delle risorse marine e degli ecosistemi ha ormai raggiunto o superato i limiti della sostenibilità.

Risultano sovrasfruttate più dell’80% delle risorse ittiche che sta portando all’estinzione di molte specie. Sono stati definiti “zone morte”  400 siti oceanici (che si estendono per una superficie di circa 250mila kmq) dove, quasi del tutto, non sussistono più le condizioni di sopravvivenza degli ecosistemi. Inoltre, la selvaggia urbanizzazione costiera ha ridotto del 20% l’estensione delle barriere coralline e del 35% quella delle foreste di mangrovie.

“In questo primo incontro di lavoro abbiamo ascoltato il parere di molti esperti e discusso dei principali problemi degli oceani – afferma Trevor Manuel, dello staff della Presidenza del Sudafrica  – ” Nessuno di noi è stupido abbastanza da pensare che sarà semplice delineare un futuro per la salute e la salvaguardia dei nostri oceani. Ma al punto in cui ci troviamo non è azzardato affermare che la situazione può solo migliorare”. L’ ex ministro degli Esteri britannico David Miliband: “La commissione produrrà solo proposte capaci di tradursi in azioni concrete. Ho fatto parte di numerose commissioni e ho, pertanto, imparato a mie spese  che quando i gruppi di studio producono troppe raccomandazioni vuol dire che hanno fallito nel compito per cui erano stati creati”.

Oltre ai fondamentali motivi ambientali, la salvaguardia degli oceani e della loro biodiversità ha  ricadute economiche e sociali di enorme portata .

“Noi tutti dipendiamo dagli oceani” – afferma José María Figueres, ex presidente del Costa Rica – “che ci danno cibo, ossigeno e catturano l’anidride carbonica responsabile del surriscaldamento del pianeta”. Infatti gli oceani (che ricoprono circa il 70% della superficie terrestre) forniscono il 50% dell’ossigeno, contribuiscono in massima parte alla regolazione globale del clima per la capacità di assorbire calore e sottrarre all’atmosfera il 25% dell’anidride carbonica proveniente dalle attività umane (addirittura assorbono 5 volte di più rispetto alle foreste tropicali). Agli oceani sono legate indissolubilmente le vite di miliardi di persone che da essi traggono la fonte primaria di proteine. Per non parlare poi del numero di Paesi la cui economia si basa sullo stato di salute degli oceani e cioè sul commercio di pesce per miliardi di dollari l’anno e sulle centinaia di miglia di posti di lavoro che esso offre. “Sfortunatamente, però, molte evidenze scientifiche dimostrano che la pressione dell’uomo sugli oceani è in continua crescita. Basti pensare alla pesca illegale o all’incremento delle emissioni di anidride carbonica che rende le acque più acide. La salute degli oceani rappresenta sia un imperativo etico che un’opportunità economica. Si tratta di una questione di cui è assolutamente necessario interessarci, se vogliamo che i nostri figli e i nostri nipoti ottengano da essi gli stessi benefici di cui ha goduto la nostra generazione”, aggiuge Figueres.

 

Sempre in questi giorni, negli Stati Uniti, si è svolto il Meeting Nazionale dell’ American Chemical Society (ACS) dove si è discusso di problematiche simili. “La massiccia produzione di plastica e lo smaltimento inadeguato ha fatto dei detriti di plastica un inquinante importante e costante sulle spiagge e negli oceani di tutto il mondo, e i Grandi Laghi (USA), che rappresentano il più grande gruppo di laghi d’acqua dolce del mondo, non sono un’eccezione” ha detto la ricercatrice Lorena  Rios Mendoza. Gli studi fatti riferiscono che i campioni d’acqua raccolti nel lago Erie contengono frammenti di plastica per l’85% più piccole di mezzo centimetro e la gran parte microscopica con una concentrazione compresa  tra  1.500 e 1,7 milioni di queste particelle per miglio quadrato. “Il problema principale di queste dimensioni della plastica è la loro accessibilità per gli organismi d’acqua dolce visto che possono essere facilmente confusi come alimenti naturali e la superficie totale per l’assorbimento delle tossine e degli pseudo-estrogeni aumenta in modo significativo”, ha detto Rios. Non è stato ancora capito se queste tossine entrano nella catena alimentare in quantità nocive.

Il problema della plastica negli oceani è in rapida crescita. Secondo la dssa Rios la produzione di plastica è aumentata del 500% dal 1980 ad oggi, rappresentando circa l’80-90 per cento dell’inquinamento marino. Le fonti di plastica che si riversano in mare derivano da sacchetti, bottiglie ma anche da detergenti abrasivi e fibre sintetiche provenienti dagli indumenti lavati in lavatrice (le  microparticelle sono le più dannose per la vita marina a causa delle loro piccole dimensioni).

Infine è stato monitorato quello che forse è uno degli scempi creati dall’uomo più impressionanti della Terra:  il cosiddetto “Great Pacific Garbage Patch” ( “l’isola dei rifiuti” ), una discarica nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, formatasi negli anni grazie alle correnti, la cui estensione non è nota con precisione  ma le stime indicano che a volte ha raggiunto anche due volte la dimensione dello stato del Texas. 

L’obiettivo della Global Ocean Commission sarà quello di formulare proposte da presentare all’ONU al fine di regolamentare e rendere sostenibile lo sfruttamento delle risorse naturali.

 

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