GRIDO DI ALLARME DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DI RAGUSA

“Si pensava che l’azione di governo per la ripresa della crescita e della competitività fosse una priorità irrinunciabile per l’Italia. Ma alla fine non è stato così: misure come quelle volta al divieto delle compensazioni dei crediti relativi ai tributi erariali, in presenza di cartelle esattoriali scadute e non pagate, o peggio ancora alla misura che dal 1 luglio 2011 trasforma gli avvisi di accertamento emessi ai fini delle imposte dirette ed ai fini IVA in titoli esecutivi non farà altro che peggiorare la già precaria situazione in cui si trovano le piccole e medie imprese, perché in molti casi si pagherà prima di aver ottenuto una sospensione dell’atto da parte della giustizia tributaria”.

E’ il tenore del grido di allarme dei dottori commercialisti e degli esperti contabili della provincia di Ragusa il cui presidente dell’Ordine, Daniele Manenti, non può fare a meno di dipingere un quadro complessivo estremamente problematico.

“Questo significa anche, senza entrare nello specifico della norma – continua Manenti – che a fronte di un debito provvisorio di 50.000,00, il cui mancato pagamento alla scadenza – dovuto anche all’impossibilità di rateizzare prima dell’affidamento al concessionario della riscossione – comporterà un aggravio ulteriore di 15.000,00 (30% sanzione) cosicché l’affidamento all’agente della riscossione riguarderà un importo di 65.000, tra sole maggiori imposte e sanzioni, sul quale graziosamente fiorirà un ulteriore aggravio di 5.850 euro, per il compenso dovuto all’agente della riscossione pari al 9%, e tutto ciò anche se l’avviso di accertamento viene impugnato. Così, al netto degli interessi, in “soli” 31 giorni (30 giorni di ulteriore “attesa” rispetto alla data prevista per il pagamento più il primo dal quale decorre l’affidamento), 50.000 euro di debito per il contribuente lievitano a ben 70.850 euro di esborso complessivo. E se a questo aggiungiamo anche l’altro adempimento che prevede l’obbligo di segnalare all’anagrafe tributaria tutti gli acquisti eseguiti da cittadini per importo superiore ad euro 3.600,00, la sensazione che si ha è quella di essere in uno stato di polizia fiscale, dove si è dato enorme peso solo al potenziamento dell’attività di riscossione. E quello che ancor di più sorprende non è la misura fiscale in sé: la storia fiscale di questo Paese è zeppa di provvedimenti che, attuati col nobile intento di sconfiggere l’evasione fiscale, hanno fallito il bersaglio, riuscendo però a vessare i contribuenti”.

Il presidente Manenti prosegue: “Noi riteniamo che ci siano, nell’immediato, delle vie da percorrere: c’è la riforma indispensabile del fisco, per avere un fisco più equo e pagato da tutti. Noi come commercialisti abbiamo sempre sostenuto che è necessario stabilire regole certe nei rapporti con i contribuenti, maggiore fermezza contro l’evasione fiscale purchè ci sia un processo tributario più veloce. Ma non si può contrastare l’evasione fiscale attraverso e solo l’aumento delle imposte. Il principio dell’imposizione fiscale deve trovare equilibrio con quello della giusta imposizione che significa non eccessività della pretesa impositiva. Secondo questo importante principio non si dovrebbe imporre una pressione fiscale dannosa per le iniziative private o che stimoli l’evasione fiscale. Quella della lotta all’evasione e al sommerso rappresenta sicuramente una priorità irrinunciabile per un serio rilancio dell’economia a cui però occorre affiancare un serio intervento per la riduzione della spesa pubblica. Solo in questo modo sarà possibile un contenimento del debito pubblico che costa ogni anno circa 70 miliardi di euro. L’entità dell’evasione che perdura e aumenta con la crisi. Una montagna di denaro, come dice Il Sole 24 ore, alta, nel 2009, tra 105 e 118 miliardi di euro. Oltre quattro volte il valore della manovra biennale che il governo ha varato per dare quel segnale di serietà che i mercati (e l’Europa) attendono. C’è l’evasione dell’Iva, oltre 30 miliardi l’anno; c’è il sommerso, per un valore del 16% del Pil, che è freno alla crescita (Mario Draghi all’Assemblea della Banca d’Italia). E noi come Paese Italia cresciamo di circa l’1% del Pil. Un paese con una bassa crescita è un Paese in declino. Tutti noi abbiamo una grande responsabilità nei confronti delle famiglie, dei giovani, della società, del Paese, che però ora, deve fare una cosa sola: decidere di cambiare. Cambiare, per diventare finalmente un Paese normale”.

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