È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
GLI EDUCATORI DI STRADA NELLA CITTA’ VISIBILE E IN QUELLA INVISIBILE
14 Apr 2011 06:59
Per vivere oggi nei mondi vitali della società contemporanea bisogna avere un forte spirito di libertà per lottare contro il conformismo imperante, che è “il carceriere della libertà e l’ostacolo più grande per ogni progresso” (J. F. Kennedy) e nello stesso tempo come sosteneva J. Maritain “bisogna avere uno spirito duro e un cuore tenero”.
Jack Kerouac in “On the road” non parlava solo di nuovi orizzonti esistenziali, di una nuova avventura dello spirito della frontiera, ma soprattutto di una nuova frontiera dell’educazione come personalizzazione alla libertà da imparare come virtù e da considerare come consapevole integrazione liberatrice. La nuova educazione di oggi è un complesso processo di sinergia di corresponsabilità perché non cade come un semplice fall out di stimoli e di idee ma come criteri di una rete puntiforme di un mondo complesso e per certi aspetti incomprensibile.
La STRADA è diventata l’immagine di un nuovo mondo da visitare attraverso la ricerca e l’acquisizione di una padronanza. Si scopre così che il mondo contemporaneo, a ben vedere, risulta duale nelle espressioni organiche di due città che interagiscono: la città visibile e quella invisibile.
Nella prima le trasformazioni incidono non solo sui territori ma anche nei “modus vivendi”, nel modo di pensare e di agire attraverso la presenza di una scuola sui generis. La città visibile è diventata multiculturale. Non è più monoculturale. Richiede mentalità aperte e ancoraggi valoriali più forti. Nella città invisibile si svolge una second life invisibile ed efficace come in Matrix dove gli dei sono tanti, e i poteri e le suggestioni altrettanti. Anche questa città ha una sua scuola che tende alla socializzazione anticipatoria.
Le ricerche del passato, come ad esempio “Né leggere, né scrivere” di Gualtiero Harrison e Matilde Callari Galli sulla Palermo popolare degli anni ’50, indicavano non solo stratificazioni e modelli sociali educativi, ma l’esistenza anche di due scuole: quella della istituzione pubblica e quella della strada, due sistemi diversi per finalità, modalità di educare e per identità e ruolo degli educatori. Gli esiti delle due scuole erano sul piano educativo profondamente diversi. Come hanno fatto constatare i “santi sociali” da San Filippo Neri a don Bosco, da don Milani a don Puglisi, i giovani vengono respinti dalla istituzione scuola e formati dalla strada. Ad essi si rivolgeva la Chiesa per un processo di liberazione morale e di promozione sociale.
Nel pasticciaccio recente del Parini di Milano si è evidenziato come i genitori di oggi “distratti e insicuri con i figli” si sfogano e si scagliano contro i docenti e come non si accetta più che nella scuola pubblica, come ha notato Umberto Galimberti, vi siano visioni del mondo differenti rispetto a quelle impartite nelle mura di casa. Umberto Galimberti sostiene che “non ci sono altri luoghi di socializzazione, non ci sono più né gli oratori né le sezioni di partito, ci rimangono solo la strada e il bar”.
La cultura “religiosa” del mondo ipermoderno è caratterizzata da due assi assiomatici: il culto della prestazione e del successo sicuro e della ricchezza come chiave e nello stesso tempo la paura del fallimento e della povertà, dall’altro l’apologia cinica del consumo facile e dell’appagamento immediato senza differimenti. In questa società l’etica iperedonista rende relativisti (e perché no?) e sazi e ciechi nel desiderare dei sensi spegnendo il desiderio e la molla della progettualità. L’educazione diventa impossibile nel post moderno e nel tempo iper moderno perché non c’è più l’interdizione e il limite, non si usa il NO ma solo il si sempre. Non siamo riusciti a frenare la corsa rovinosa al godimento usa e getta fine a se stesso. Cosa resta del Padre? (Cortina 2011). Il potere simbolico e l’accompagnamento di sostegno si sta evaporando.
La vita non è vita nell’artificiale. La vita è vita nella strada. (On the road) I giovani sono cittadini del reale e dell’immaginario, del bisogno e del desiderio, della terra e del cielo, del virtuale “connettivo” e del virtuale spirituale. In loro spira non solo la menzogna ma anche il vento della verità, non solo il cinismo ma anche la generosità. L’ambivalenza è strutturale e l’abitazione nelle due città (visibile e invisibile) è una permanente dimora provvisoria. La quotidianità è un continuo work in progress.
Il panopticon è il bullismo che non è solo il simbolo dei ragazzi abbandonati ai propri impulsi ed emotivamente immaturi, spavaldi e fragili (G. Pietropolli Charmet), ma un fenomeno culturale, sociale e mediatico che cala sul male dell’educazione e sulla socializzazione dei giovani in tempi di cinismo. Mc Luhan parlava dei mass media come prolungamento dei nostri sensi e intensità maggiore delle nostre emozioni. Noi siamo, secondo questo autore, massaggiati più che informati. Si diventa bulli a imitazione del bullismo sociale. Il nuovo problema da risolvere è la grande crisi dei rapporti genitori-figli e viceversa. Non sono più i figli che domandano di essere riconosciuti dai loro genitori ma sono i genitori che domandano di essere riconosciuti dai loro figli. Tutto è ribaltato. Per risultare amabili è necessario dire sempre “Sì!”. Eliminando il disagio del conflitto di una volta si tende a delegare tutto e ad avallare tutto. Il sì perpetuo unito al punto di domanda “e perché no?” della cultura sociale dominante producono un effetto perverso.
Sulla strada le generazioni non sono atemporali e codificate, senza storia e senza utopia. Esse si trasmettono narrazioni di valori e stili di vita. Si assegnano compiti di senso, di libertà, di godimento e di partecipazione sia nella città visibile che in quella invisibile che si influenzano dialetticamente.
In questa situazione diventare educatori è un compito difficile. E’ necessaria una nuova generazione di educatori di strada per la città visibile e per la città invisibile. Essi sono i nuovi accompagnatori dell’etica della corresponsabilità e della promozione di sane esperienze di vita in qualificati luoghi associativi anche provvisori. Tutti i poveri della città cercano la propria anima e il fascino di un bene profondo.
Vale qui nell’ipermoderno la lezione della parabola del figliol prodigo che è un paradigma adeguato soprattutto per la relazione educativa nella ipermodernità. Il padre della parabola non dice al giovane figlio: Diventa come me, ma gli dà tutto quello che chiede e lo aspetta perché affida all’esperienza del fallimento la capacità di ritrovarsi dopo essersi perduto mentre al fratello maggiore che aveva scelto di non sbagliare, la sicurezza del nido lo invita a capire che si può sbagliare e ci si può redimere purché dopo aver sbagliato si ritrovi la strada del ritorno e un adulto pronto ad accoglierlo. Come dice la parabola, era perduto ed è stato ritrovato.
L’educatore di strada è il nuovo educatore, portatore di una nuova filosofia della strada, di una nuova religione nella strada come sulla via di Emmaus dove si dialoga e si scopre l’interiorità profonda del prossimo e con lui si cammina. On the road!
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