Giovanni Giocolano, il cultore del dialetto nel ricordo del giornalista Emanuele Ferrera

di Emanuele Ferrera – Il suo invito lo trovavo ogni anno nella cassetta delle lettere alla fine del mese di luglio. Era un foglio scritto a mano con allegato il programma dettagliato della manifestazione che aveva battezzato e condotto dagli inizi degli Anni Novanta. Qualche giorno dopo, immancabilmente, mi telefonava per essere certo che non mancassi. E sono sicuro che con altrettanto impegno “convocasse” per la “Festa del Poeta”, che si teneva la prima domenica di agosto nella sua azienda agricola di contrada Pezza di Fico, a qualche chilometro di Marina di Acate, quanti, sia pure sfidando la canicola, avevano il piacere di omaggiare il dialetto siciliano in tutte le sue forme.  

Così il vittoriese Giovanni Giocolano, che la pandemia si è portato via agli inizi dello scorso mese di novembre, anno dopo anno continuava a battersi affinché il vernacolo non venisse dimenticato: “Mi sono intestato questa battaglia – diceva – e la voglio continuare radunando tutti gli amici che amano scrivere poesie, i cantastorie e anche i nostri emigrati che all’estero si battono affinché i propri figli e nipoti lo continuino a parlare”.

E così mentre si dedicava alla serricoltura, continuando a scrivere egli stesso bellissime poesie meritevoli di tanti riconoscimenti, inaugurava ponti culturali con l’Argentina e il Venezuela o perorava con i sindaci del territorio presenti ai raduni e i dirigenti scolastici, maggiore sensibilità per introdurre lo studio del dialetto nelle scuole: “Temo – spiegava- che i più giovani immersi come sono nei tanti mondi virtuali, tra qualche tempo non conosceranno i più semplici termini del nostro dialetto. Lei, che insegna italiano in una scuola superiore di Vittoria mi potrebbe aiutare?”.

Gli risposi che qualcosa durante le lezioni tutti la facevamo già, ma egli voleva incontrare direttamente i miei alunni e metterli alla prova.

Qualche tempo dopo, accompagnato dal mio dirigente scolastico, Giocolano si presentò in una delle mie classi del biennio con una pubblicazione riguardante Vittoria, chiedendo con molto garbo una sedia. Lo feci accomodare in cattedra, mentre saliva la curiosità dei miei ragazzi, che felici di interrompere l’analisi del periodo, non si spiegavano il motivo dell’interruzione. “Un nonno in classe al posto del professore, mah!”. 

Giovanni Giocolano si mise a parlare per quasi un’ora chiedendo ai presenti se avessero mai udito i termini dialettali che andava snocciolando, tra le immancabili risatine e qualche contributo intelligente degli adolescenti. Al termine il nostro amico trasse le conclusioni: “Ragazzi, temevo peggio. Non avete dimenticato il dialetto, ma di alcune parole non conoscete il significato preciso. Girerò altre scuole portando a tutti gli insegnanti il mio messaggio: se muore la nostra lingua, muore parte della nostra cultura. Non permettiamolo!”.

Se n’è andato così Giovanni Giocolano, a 85 anni, con il suo sogno ed un mandato affidato ai suoi tanti collaboratori ed amici. Oggi, purtroppo, l’insegnamento del dialetto siciliano nonostante le lodevoli iniziative degli assessori regionali alla Pubblica Istruzione che si sono succeduti, fa fatica ad entrare stabilmente nelle scuole e il suo studio è demandato all’iniziativa personale di ogni docente. Per fortuna ci sono anche i poeti.

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