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FRANCO SACCHETTI, CHI ERA COSTUI?
10 Feb 2013 10:06
La data e il luogo di nascita del letterato fiorentino Franco Sacchetti è incerta. Pare, però, sia nato poco dopo il 1330 a Ragusa (Dalmazia), forse in seguito a uno degli spostamenti del padre , Benci di Uguccione, mercante.
Franco viaggiò molto, anche perché era stato avviato alla stessa professione del padre, finché nel 1363 fissò la sua residenza a Firenze, dove partecipò attivamente alla vita pubblica della città e si fece anche carico delle ambascerie per conto del Comune rivestendo, in momenti diversi, sia la carica di podestà che di priore,Questo anche in altre città della Toscana e dell’Emilia.
La sua vita privata restò sconvolta dalla fine tragica del fratello Giannozzo, giustiziato nel 1379 per aver preso parte alla rivolta dei Ciompi.
Questo avvenimento, ne segnò l’esistenza, afflitta anche da difficoltà economiche , da problemi di salute e da nuovi lutti.
Nel 1400, a San Miniato, dove si trovava in qualità di vicario, morì, probabilmente di peste.
Sacchetti era stato definito uomo discolo e grosso (privo di studi regolari e non raffinato) che, però, non rendeva affatto giustizia alla sua cultura, che sebbene non organica in quanto autodidatta, non fu né ristretta né superficiale.
Un primo saggio della scrittura lo diede attorno al 1354, in un poemetto, La battaglia delle belle donne di Firenze con le vecchie, che rappresentò un piccolo divertimento dilettantesco a scopo galante, ma che tuttavia rivela molte influenze culturali. Anche Battaglia si rivela stilisticamente immatura, ma ben presto Franco Sacchetti dimostra le sue grandi capacità.
Il libro delle rime (contenente anche poesie per musica e politico-morali) e, dopo il 1378, a seguito di una crisi spirituale, si dedica anche al filone religioso con Lettere e Sposizioni di Vangeli (si tratta di 49 sermoni), che fanno emergere la sua predisposizione narrativa.Queste, in un certo senso, introducono il capolavoro, Trecento Novelle. Di queste ne sono conservate solo 223 grazie anche al filologo Vincenzo Borghini che, nel Cinquecento, fece fare una copia del testo, che però era già molto danneggiato.
Il modello è chiaramente Decameron di Giovanni Boccaccio, pur senza prenderne l’idea di fondo della cornice dei racconti.
Quelle di Sacchetti appaiono scarne nell’intreccio e di breve respiro e indifferenti alla caratterizzazione psicologica che invece sono caratteristica delle novelle del Boccaccio.
Esercitano, però, una grande attrattiva per la duttilità e il dinamismo della realtà quotidiana che ritraggono, di cui sono attori borghesi e paesani, senza grande idealità o forti passioni, ma piuttosto animati da spirito pratico e da realistico buon senso, che si muovono tra piazze, mercati, vicoli, botteghe e taverne di Firenze e del contado.
Qui a seguire, per concludere la presentazione di questo autore trecentesco, una delle Trecento novelle, che ricorda quella di Frate Cipolla del più celebre Decameron, anche per averne un esempio di confronto: Frate Taddeo e la reliquia.
Frate Taddeo Dini predicando a Bologna il dì di Santa Caterina, mostra un braccio contro a sua volontà gittando un piacevol motto a tutta la predica.
Molte volte interviene che delle reliquie si truovano assai inganni, come poco tempo intervenne a’ Fiorentini. Avendo aùto di Puglia un braccio, il quale fu dato loro per lo braccio di santa Reparata, e facendolo venire con gran cerimonia e mostrandolo parecchi anni per la sua festa con gran solennità, nella fine trovarono il detto braccio esser di legno.
Era dunque frate Taddeo Dini dell’ordine de’ Predicatori, valentissimo uomo, il dì di Santa Caterina a Bologna; e al monistero di Santa Caterina per la festa la mattina predicando, avvenne che, compiuta la predicazione, anzi che scendesse del pergamo [pulpito n.d.r.] e pervenisse alla confessione con molto torchi [ceri, candele] gli fu recato un forzieretto di cristallo, coperto con drappi, dicendo:
– Mostrate questo braccio di santa Caterina.
Frate Taddeo, che non era smemorato, dice:
– Come il braccio di santa Caterina! Io sono stato al Monte Sinai, e ho veduto il suo corpo glorioso, intero con le due braccia e con tutte l’altre membra.
Dissono quei pretoni:
– Bene sta; noi tegnamo che questo sia veramente il suo braccio.
Frate Taddeo con chiare ragioni diceva non esser da mostrarlo. La Badessa sentendo questo lo mandò pregando di dovesse mostrare; però che, se non si mostrasse, la devozione del monistero si perderebbe. Veggendo frate Taddeo che pur mostrare gli lo convenìa, aprì il forzierino, e recatosi in mano il detto braccio, disse:
– Signori e donne, questo braccio che voi vedete, dicono le suore di questo monastero, che è il braccio di santa Caterina. Io sono stato sul Monte Sinai, e ho veduto il corpo di Santa Caterina tutto intero, e massimamente con due braccia; s’ella ne ebbe tre, quest’è il terzo; – cominciando con esso a segnare in croce, come si fa, tutta la predica.
Gl’intendenti di questo risono [gli ascoltatori che intesero il significato risero], parlando tra loro; molti uomini e femminelle semplici si segnarono devotamente, come quelli che non intesono frate Taddeo, né avvidonsi mai di quello che aveva detto.
La fede è buona e salva ciascuno che l’ha; ma veramente solo il vizio dell’avarizia fa di molti inganni nelle reliquie; che è a dire, che non è cappella che non mostri aver del latte della Vergine Maria! ché se fusse come dicono, nessuna sarebbe più prezioza reliquia, pensando che nel suo corpo glorioso alcuna cosa non rimase in terra; ed e’ si mostra tanto latte per lo mondo, dicendo esser del suo, che se fosse stata una fonte ch’avesse più dì rampollato, quello si basterebbe. Se se ne potesse far prova, come frate Taddeo fece del detto braccio ciò non avverrebbe. Ora la fede nostra ci fa salvi; e chi alchimia [inventa] sì fatte cose ne porta pena in questo o nell’altro mondo.
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