“ECCESSO DI QUALIFICA” O “ MANCATA ESPERIENZA”: IL SADISMO DELLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

A quanto pare non è sufficiente fare i conti con delle prospettive di lavoro quasi nulle (ci dicono sempre che il mercato “è saturo”!); non è sufficiente sapere già con abbondante certezza che, continuando così, non ci spetterà nessuna pensione; non è sufficiente aver studiato, ottenuto titoli ed essere disoccupati.

Il problema è che la disoccupazione giovanile è ormai “normale”: un giovane laureato non si aspetta  di trovare lavoro. È sicuro, invece, che resterà disoccupato o che, con molta fortuna, lavorerà in un settore che non è il suo.  Siamo una generazione di disillusi.

Comincia così l’esodo. Milano, Roma, Firenze, l’estero. Ci ritroviamo, ad un certo punto, senza nulla in mano, con una scatola enorme di sacrifici passati, noi poveri, mantenuti, insoddisfatti e neanche tanto disperati. O meglio, disperati sì, ma tanto è così che doveva andare.

Credo sia interessante analizzare il percorso di due ragazze, entrambe laureate in lingue, entrambe ragusane, entrambe in “esilio” per cercare lavoro. Giulia, a Milano. Erika, a Firenze. Non siamo disillusi senza motivo, è il mondo che ci impone di esserlo.

–          Quando hai pensato al tuo primo lavoro da laureata, dove ti sei immaginata istintivamente?

G: Beh, la prospettiva di cercare un lavoro con una bella laurea in lingue e comunicazione nel curriculum mi è sembrata subito allettante e molto stimolante. Credevo che sarei andata a bussare solo alla porta di aziende che mantengono rapporti con l’estero. Ma la realtà è diversa: non ci sono tutte le opportunità che credevo e poi, qui a Milano,  c’è molta concorrenza, giovani molto preparati e già con diverse esperienze lavorative nel settore.

E: La mia immaginazione mi ha portata all’interno di una bella agenzia di pubblicità, con un computer e una scrivania dove inventare slogan, spot e campagne pubblicitarie nel ruolo di Copy Writer. Bello, no?

 

–          Il tentativo di cercare lavoro per ciò che si è studiato assume una priorità assoluta rispetto alla ricerca di un lavoro che garantisca un minimo di sopravvivenza?

G: Quando ti trasferisci lontano da casa, in un primo momento la priorità assoluta è l’indipendenza economica. Mentre porti avanti la ricerca del “lavoro perfetto” hai bisogno di pagare un affitto considerevole, di pagare le bollette e di fare la spesa. L’attinenza con gli studi, purtroppo, deve passare in secondo o anche in terzo piano! Eccomi infatti a cercare un posto di addetta alle vendite, una figura molto richiesta soprattutto in prossimità del periodo natalizio.

E: All’inizio la mia ricerca è stata a senso unico: ho cercato solo agenzie di pubblicità o web agency. Dopo qualche settimana, completamente disillusa, portavo CV a mano solo a negozi e ristoranti, i soldi scarseggiavano e l’unica cosa a cui pensavo era: “Devo cercare di prolungare la permanenza e, per farlo, ho bisogno di soldi”.

 

–          Leggendo il tuo curriculum, cosa ti è stato detto dai commercianti?

G: Le reazioni sono sempre le stesse, mi chiedono perché non mi candido a ruoli più attinenti ai miei studi.

E: Qualche settimana fa una negoziante mi ha detto: “Ma sei laureata! Io non posso farti lavorare come commessa, dovresti cercare qualcosa nel tuo settore!”

 

–          E da coloro che ti hanno valutata per un lavoro attinente alla tua qualifica?

G: Non ho ancora sperimentato, finora in tutti i ruoli proposti nel campo della comunicazione mi è stato richiesto almeno un anno di esperienza analoga. Non c’è spazio per chi deve imparare e,  se c’è, quasi sempre non è retribuito. E’ un periodo difficile.

E: Ho avuto modo di fare solo due colloqui nel settore di mia competenza. Uno a Ragusa, dove mi è stato detto di avere un’ottima base teorica ma che avrei dovuto fare più esperienza, l’altro qui a Firenze, dove il mio CV è stato lodato. Sto ancora aspettando una loro chiamata.

 

–          Che tipologia di contratto ti è stata proposta più frequentemente?

G: La maggior parte dei posti di lavoro offrono un contratto a tempo determinato, da uno a tre mesi. Spesso si tratta di una formula “part-time”, così i datori riescono ad ottimizzare le assunzioni in base ai giorni e alle fasce orarie a loro più convenienti. In un periodo storico come quello che stiamo attraversando i privati non possono permettersi “sprechi”.

E: I contratti di un mese o trimestrali vanno per la maggiore. Assumere a tempo indeterminato costa troppo.

 

–          Cosa fai adesso?

G: Cerco un lavoro che mi permetta di pagare il prossimo mese d’affitto e,  intanto, vado avanti con i risparmi che ho messo da parte quest’estate, lavorando come cameriera in un ristorante.

E: Adesso vivo a Firenze e mi è stato offerto un posto da commessa in una grande catena d’abbigliamento. Mi è stata proposta la collaborazione per un mese con la possibilità che il mio contratto possa essere prolungato fino a gennaio. Ritrovarmi ad accettare e a gioire per un lavoro di un mese mi ha reso piuttosto triste.

 

Si tratta di un piccolo spaccato di realtà, ma è una realtà che coinvolge sempre più i giovani laureati. E per evitare di cadere in prolisse (e perché no, oramai ovvie!) considerazioni da giovane laureata che studia ancora in attesa di un mondo diverso, ripropongo le parole di Ilvo Diamanti, in cui l’essenza del malessere giovanile viene messa a nudo dal coraggio di una persona adulta:

“[…] cari ragazzi, non studiate! Non andate a scuola. In quella pubblica almeno. Non avete nulla da imparare e neppure da ottenere. Per il titolo di studio, basta poco. Un istituto privato che vi faccia ottenere in poco tempo e con poco sforzo, un diploma, perfino una laurea. Restandovene tranquillamente a casa vostra. Tanto non vi servirà a molto. Per fare il precario, la velina o il tronista non sono richiesti titoli di studio. Per avere una retribuzione alta e magari una pensione sicura a 25 anni: basta andare in Parlamento o in Regione. Basta essere figli o parenti di un parlamentare o di un uomo politico. Uno di quelli che sparano sulla scuola, sulla cultura e sullo Stato. Sul Pubblico. Sui privilegi della Casta. (Cioè: degli altri). L’Istruzione, la Cultura, a questo fine, non servono.
Non studiate, ragazzi. Non andate a scuola. Tanto meno in quella pubblica. Anni buttati. Non vi serviranno neppure a maturare anzianità di servizio, in vista della pensione. Che, d’altronde, non riuscirete mai ad avere. Perché la vostra generazione è destinata a un presente lavorativo incerto e a un futuro certamente senza pensione. Gli anni passati a studiare all’università. Scordateveli. Non riuscirete a utilizzarli per la vostra anzianità. Il governo li considera, comunque, “inutili”. Tanto più come incentivo. A studiare. 
Per cui, cari ragazzi, non studiate. Se necessario, fingete, visto che, comunque, è meglio studiare che andare a lavorare, quando il lavoro non c’è. E se c’è, è intermittente, temporaneo. Precario. Ma, se potete, guardate i maestri e i professori con indulgenza. Sono una categoria residua (e “protetta”). Una specie in via d’estinzione, mal sopportata. Sopravvissuta a un’era ormai passata. Quando la scuola e la cultura servivano. Erano fattori di prestigio.”

E se una volta i “grandi” vendevano speranze ai “piccoli”, adesso a chi bisogna rivolgersi?

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