E’ TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA?

 

Prima di affrontare questo delicato tema che nella nostra città ha trovato uno sbocco amministrativo proprio martedi sera sera, ritengo opportuno operare una premessa: a mio avviso l’Italia nel 2007 ha perso un’ottima occasione di dotarsi di una normativa seria ed avanzata rinunciando all’approvazione del decreto legislativo proposto dalla Bindi e dalla Pollastrini sui DI.CO. (Diritti di Convivenza), e ascrivo la responsabilità di questa occasione mancata principalmente all’associazionismo cattolico che in quella occasione si è fatto trascinare in una crociata a mio avviso miope oltre che ingiusta.

Di questa occasione mancata oggi paghiamo i prezzi: una normativa efficace sulle convivenze non può essere surrogata da atti amministrativi locali, che di fatto mettono una pezza, ma spesso hanno solo un effetto “placebo” su un problema che invece è serio e complesso, e che può trovare soluzione solo tramite una legislazione nazionale il più completa possibile.

 

Operata questa doverosa premessa passo all’atto amministrativo di ieri premettendo che, pur con i limiti di cui ho già detto, in assenza di una legislazione che norma la materia, un atto amministrativo è meglio di niente, però l’istituzione del registro delle Unioni Civili a Ragusa lascia delle serie perplessità sia per il metodo seguito sia nel merito.

 

Nel merito trovo ingiusta la previsione della parte finale del comma 5 dell’art. 2 del regolamento che recita testualmente: “Gli atti dell’amministrazione devono prevedere per le unioni civili condizioni non discriminatorie di accesso agli interventi in tali aree, evitando condizioni di svantaggio economico e sociale, assicurando alle coppie unite civilmente le medesime condizioni riconosciute dall’ordinamento alle coppie sposate e assimilate”.

Come ho dichiarato sono assolutamente d’accordo sul fatto che anche ai conviventi debbano essere riconosciuti i diritti di cui godono gli altri cittadini, però è bene operare una distinzione tra diritti soggettivi che vanno estesi a tutti e legittime aspettative concorrenti rispetto all’erogazione di servizi, in questo campo, dovendosi effettuare delle scelte di priorità diventa molto importante agire con equità.

 

Il principio di giustizia prevede che sia ingiusto trattare in modo differente casi uguali ma che sia altrettanto ingiusto trattare in modo uguale situazioni differenti: e in questo campo purtroppo le famiglie e i conviventi non possono essere trattati in modo uguale perché normativamente soggiacciono a normative differenti; si badi bene non c’è nessuna retorica confessionale in questo discorso, ma semplicemente l’osservazione della realtà. Oggi chi contrae matrimonio, contrariamente da chi convive assume una serie di obblighi di assistenza morale e materiale legislativamente statuiti, la cui rilevanza  sia civile sia economica è giudiziariamente rivendicabile; basti pensare che la prima causa di scivolamento sotto la soglia di povertà in Italia è la separazione coniugale (la legge stabilisce assegni di mantenimento, diritto di abitazione etc.); chi semplicemente convive in atto non ha nessuno di questi doveri, quindi rientra in una fattispecie completamente diversa, per cui mentre è corretta e anzi doverosa la parte di normativa che vieta le discriminazioni, e che sarebbe stata da sola sufficiente a garantire ai conviventi di poter fruire in modo regolamentato dei servizi offerti dal Comune, è gravemente ingiusta la norma che prevede “le medesime condizioni”.

E questo non ha una rilevanza solo privata, ma anche comunitaria; solo per fare un esempio, la separazione di una coppia sposata di cui solo uno percettore di reddito in virtù dell’obbligo degli alimenti spesso non comporta oneri per i servizi sociali, nel caso di coppia convivente l’ex convivente senza reddito può diventare un soggetto di cui la collettività si debba fare carico.

 

Riguardo poi al metodo, apprendo di una certa rigidità da parte della maggioranza consiliare sia nella tempistica dell’approvazione del provvedimento, sia nel respingimento di qualsiasi emendamento proposto dalle opposizioni; non ho assistito alla seduta del Consiglio Comunale quindi ne ho una conoscenza “de relato”, ma devo dire che l’aver disatteso la richiesta di oltre 500 cittadini che chiedevano un supplemento di riflessione sull’argomento mi sembra un atto politicamente “sgarbato” che definirei poi incomprensibile in un consiglio a maggioranza M5S: non mi sembra plausibile che i cittadini vadano ascoltati solo se si esprimono via internet e ignorati se utilizzano altri canali o se sono critici.

 

Viene il dubbio che la democrazia diretta funzioni ad intermittenza!

 

La verità è che In questo tipo di decisioni è inopportuno ideologizzare le problematiche (intendo sia da parte di chi è favorevole che da parte di chi è contrario), in questo modo ci si irrigidisce, si mortifica il dibattito e spesso si rinuncia, in nome dell’intestazione di una battaglia, a trovare le soluzioni più efficaci.

                                                                                            

 

 

     

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it