E’ morto il numismatico ragusano Federico Pavone. La commovente lettera d’addio del figlio

E’ morto il numismatico ragusano Federico Pavone a seguito di una breve malattia.
Una professione rara, che è diventata tale dagli anni ’50 e che poi ha coinvolto la sua vita per sempre. Il suo negozio a Ragusa è sempre stato il luogo dei sogni per tanti amanti del collezionismo.

I funerali si sono svolti l’1 gennaio.

Di seguito, riportiamo la commovente lettera che il figlio Daniele ha diffuso tramite i social:

CIAO PAPÀ…
Quand’ero bambino spesso partivi per partecipare ai convegni di numismatica e filatelia – passione e professione di tutta la tua vita che mi ha trasmesso l’interesse per l’antico, l’arte e il bello – e anche se sapevo che dopo soli tre o quattro giorni saresti tornato, ogni volta era traumatica come un addio. Forse era la consapevolezza che per qualche notte non avrei potuto contare sulle tue spalle calde e forti che consideravo uno scudo impenetrabile per proteggermi dai mostri nascosti nell’oscurità. Allora tu eri trentenne e mi sembravi fortissimo, con quegli occhioni blu che sono la cosa che ti ho sempre invidiato di più dopo la mamma… . I miei trent’anni sono ormai passati, eppure tutta quella forza che allora vedevo in te non credo di averla mai avuta. Ma tu forte lo sei stato davvero, lo dimostrano le mille avversità che la vita ti ha opposto e che hai sempre affrontato, rimediando lividi e cicatrici.


E alla fine c’è voluto proprio un mostro per sconfiggerti, terribile molto più di quelli che temevo così tanto durante le notti della mia infanzia: mentre il mondo si chiudeva in casa permettendoci di vivere lunghi ed inconsapevolmente ultimi momenti di armonia familiare, invisibile e oscuro lui già si insinuava furtivamente dentro di te, per poi esplodere beffardamente in tutta la sua ferocia proprio subito dopo essere stato scoperto, rubandoti prematuramente alla vita in appena due mesi. Stavolta ho provato io a farmi scudo impenetrabile per proteggerti, ma lui ha avuto la meglio.
Forse un giorno qualcuno riuscirà a spiegare perché, a dispetto del paesaggio così ridente e bucolico che sa di aria buona, negli ultimi decenni in questa nostra terra iblea così tante persone hanno dovuto affrontare questo stesso mostro e molte, moltissime come te ne sono uscite sconfitte. Resta che stavolta sei partito per un viaggio così lungo che non basteranno solo tre o quattro giorni per vederti tornare. Mi toccherà attendere l’eternità e a me l’ineffabile turba e disorienta, perché so che non riuscirei mai ad averne il controllo.

E tu lo sapevi bene: non a caso, quand’ero ancora un ragazzino e la sera guardavamo le stelle, per farmi capire quanto l’universo sia immenso, mi spiegavi il concetto di “infinito” dicendomi che se avessi provato a protenderci un braccio in avanti, e poi un altro e un altro ancora, non ne avrei mai toccato la fine, invitandomi poi a non pensare troppo a come ciò possa essere possibile, perché è una cosa incomprensibile per un essere umano e avrei rischiato di impazzirci dietro.
Adesso nella mia mente è un turbinio di “ultime volte che” e di ricordi… me ne restano così tanti che potrei trascorrerci il resto dei miei anni, ma so che non mi basteranno mai. E poi ci sono le cose, mute ed immobili testimoni dello scorrere inarrestabile del tempo: oggi mi sembrano diverse, familiarmente estranee. Se l’età adulta non mi fa più temere i mostri della notte, a terrorizzarmi sono quelli del vivere, in particolare quella grande fregatura della vita che consiste proprio nella sua transitorietà, un pensiero che mi assilla da sempre; una volta confidavo nella scienza quale fonte certa di una soluzione nel corso delle nostre esistenze, ma anche questa era l’illusione di un bambino: ormai sono rassegnato all’idea che non sarà possibile, almeno nel nostro tempo.

E se questo pensiero già illuminava il mio cammino in questo mondo di una luce grigia che ammanta ogni cosa della malinconia del fugace, oggi si aggiungono il rimpianto per le tante cose che avremmo potuto fare ancora insieme e la rabbia per i sogni che non hai potuto vedere realizzati. Li avresti meritati. Tutti. Ed è un dolore assoluto che dà la misura del costo della nuova vita che mi attende a partire da domani.

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