Discutiamo lo spot della pesca, ma i bambini sono più sottili e profondi degli adulti. VIDEO

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Una pesca, più della biblica mela, ha spaccato il paradiso dei social. È il frutto della pubblicità di una catena di supermercati che vede come protagonista una bimba figlia di genitori separati. La bambina fa comprare alla mamma una pesca al supermercato e poi la porta al papà dicendo che gliela manda la mamma. 

Quasi tutti hanno inteso vedere nel suo gesto esclusivamente il tentativo di far riavvicinare i genitori, un disperante tentativo da cui trapela, anche nel non verbale della tenerissima bambina la sua sofferenza per la separazione. La rappresentazione contrastante con la tradizionale, classica, stereotipata, idilliaca e melliflua famiglia del Mulino Bianco (quando il mulino era bianco), una raffigurazione quindi infine divisiva. 

Alcuni vi leggono una colpevolizzazione di chi sceglie di separarsi, altri giudicano il messaggio giusto e realistico, oltre che commovente. Secondo alcuni non colpevolizzerebbe ma responsabilizzerebbe i genitori. Innumerevoli i commenti critici e le contestazioni alla narrazione spot, visto come motivo di sofferenza e stigmatizzazione per le famiglie separate. 

Come ho ricordato altrove, molti anni fa, una volta, una bambina di cinque anni, figlia di genitori separati, mi confessò di aver portato al papà un cuoricino di carta (altro che pesca!), dicendo che a mandarlo era la mamma. Aveva due occhioni verdi sotto una frangetta ribelle.

Non ho interpretato il suo gesto come il piano per far “risposare” in casa a tutti i costi i due genitori. E neppure come l’inconsapevole tentativo di colpevolizzarli per aver scelto di abitare in due case diverse. 

Mi dispiace notare che invece la maggior parte delle letture dello spot del supermercato (discutibile, ma efficace) siano superficiali e polarizzate (quando non ideologiche).

I bambini sono più sottili e più profondi di noi. La piccola, seppure a malincuore, aveva accettato la separazione, perché da lì in poi la sua casa non era più la stanza dei bronci, dei silenzi o delle urla e delle porte che sbattono. E tuttavia, lei non sopportava che le persone che più amava nella sua vita si guardassero oramai in quel modo: senza nessuna scia d’amore. 

Essenzialmente per questa ragione si inventò il magitrucco del genietto: per dire loro (e a se stessa) che le cose nel tempo possono cambiare e rattristarsi, ma noi tutti possiamo e dobbiamo continuare a volere bene. Soprattutto quando quel bene è stato capace di generare un diavoletto con una frangetta così ribelle.

Negli anni ho imparato che i bambini sopravvivono a tutto, tranne alla morte del senso delle piccole cose.

E, lo dico per inciso, i genitori della bambina da allora ripresero a sorridersi, se non altro per evitare di rivedere me in terapia. E di essere inondati ancora da una marea di furbissimi cuoricini rossi.

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