Dieci cose che devi sapere se vai in discoteca a 50 anni

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Caronte, pietà! Sabato, dopo decenni, mi hanno trascinato in discoteca alla veneranda età di antatré. Si imparano da un evento simile molte cose fondamentali riguardo i cambiamenti (psicosociali e antropologici) di questi tre decenni. 

Prima. Se, come nel mio caso, trovi posto senza alcun problema nell’immenso parcheggio nella radura è solo perché (così mi hanno spiegato dopo) la disco che frequentavi in gioventù non insiste più in quell’area dallo scorso millennio ormai, ma è stata segretamente spostata altrove e ha cambiato financo nome e cognome (chiamasi ormai “disco-pub”).

Seconda. I giovani di oggi entrano in pista non prima delle 24.00 (perché mai, poi?) in un orario in cui normalmente io mi sono sparato già sei quarticini di sonno profonderrimo, dopo aver leggiucchiato (con la palpebra in fin di vita e la flebo al neurone) una decina di link su Fb e due tweettini senza pretese. Pertanto, una dose di caffeina e anfetamine fuori dall’ordinario mi hanno dovuto assistere nel training di preparazione all’evento. Peraltro, mi dicono che, se entri in discoteca prima delle 24.00, rischi di trovare a cena, in braghe di tela, i membri del personale e di andare incontro alla più classica delle figure di melma. Quando nella mia città sboccia la movida, io mi sono già sparato normalmente un paio di REM (non il gruppo rock). Le rarissime volte in cui mi sono trovato a traversare il cuore pulsante della notte giovane, ero in stato vegetativo, e farsi un’idea dei ragazzini di oggi (guai a chiamarli così!) e della loro idea di divertimento non è semplice in pre-coma. 

Terza. Non è più di moda muoversi nella pista usando le tre dimensioni dello spazio, perché, attillati nella calca, bisogna ottimizzare gli infinitesimali spazi concessi ad ogni virtuosismo individuale (per lo più in verticale o con frenetici ripiegamenti e vorticose rotazioni su se stessi). È lo stesso principio fisico che regola il fenomeno della microdoccia in un camper: se non rispetti questa legge basilare rischi di insaponarti un’ascella in sala da pranzo e l’altra in camera da letto. Non è fine, converrete. Ovviamente le contusioni e gli ematomi a fine performance sono messi nel conto, se un energumeno ingellato e in preda a una furiosa malaria del Sabato sera ti zompa sui tendini e sulla rotula per trentadue brani consecutivi.

Quarta. La musica di oggi, come disse Flaubert, gli fa una superpippa a quella degli anni Settanta, Ottanta, Novanta.

Quinta. I deejay, bravissimi, ma innamorati delle loro voci, ti esortano ossessivamente a ballare con le mani in alto, con implicazioni non indifferenti sulla sciatica.

Sesta. I tipi che si piazzano immobili nella pista attaccati a te col drink in mano e lo sguardo da tenebrosi rivolto alle prede, credono di essere giudici di un talent? O pensano che le donne in pista siano venute lì solo per mettere un like alla prodigiosa erezione del loro ciuffo?

Settima. Gli uomini non rimorchiano più. Sono le donne a coinvolgerti, se balli dignitosamente, perché alle donne di oggi interessa ballare.

Ottava. Puntualmente, proprio quando becchi il pezzo che ti anima e cominci lietamente a scongelarti quasi, vieni accerchiato da un branco di giovani armati di prolunga aerea e ti ritrovi in un selfie a tua insaputa con la faccia rincoallibita di chi è stato paparazzato sulla tazza del water. Anche la disco oggi è social. Senza mille selfie non esisti ormai. Non sei felice. Non sei connesso con tutti quelli che in disco non sono venuti a farsi il selfie. Ecco. Ti consoli pensando che adesso esisti anche tu dappertutto nella Rete. Hai fatto ingresso a tua insaputa nella digital post-modernità tra un passo di tango e una lambada, senza che fosse minimamente messo in conto. Molti contatti dei selfisti si domanderanno: “Ma chi è quello sfigato grigio boomer là dietro?”  

Nona. Le luci ti accecano, la musica a palla ti stordisce. Vedi i drink, le sigarette finte qua e là, i ciuffi spaziali, i tacchi estremi, le mises minimaliste e sexofosforescenti, piercing e tatuaggi a strafotting. Hai come la sensazione di essere proiettato su Urano direttamente da una certosa medievale. Ti vedi come uno sgombro salmonato in un acquario di delfini volanti. E tuttavia, noi boomer non dovremmo giudicare dall’alto la “generazione Z”. Uno sgombro anchilosato come me, sul punto quasi di spiaggiarsi, non può giudicare il volo dei delfini. E infatti non dico che i giovani hanno perso i valori. Spero solo che non abbiamo rubato loro gli ideali. Senza orizzonte infatti nessun volo avrebbe significato.

Ma l’ultima cosa che ho imparato, la decima, è la più importante. Ci si può divertire tantissimo in disco. Forse perché si può essere più liberi in un fazzoletto di spazio che nell’orizzonte della vita reale. Come se, a volte, per essere felici in noi stessi, avessimo bisogno di essere autorizzati. E allora, prima o poi, che sia anche per voi matusa un ballerino sabato di ballerina dolcezza!

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