Di chi è Vittorio Fortunato? Di nessuno! E vi dico perché

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Lavoro da anni come psicoterapeuta anche in seno al Centro Affidi di Ragusa e ho intercettato decine e decine di storie lacerate (e tuttavia non di rado meravigliose) di bambini, relazionandomi con famiglie d’origine, famiglie affidatarie, Tribunali, assistenti sociali. Gli sviluppi di questa vicenda inevitabilmente mi hanno toccato profondamente e hanno riaperto le ferite di antichi dilemmi. 

La favola malinconica la conoscete tutti. Anche nei suoi ombrosi antefatti. Vittorio Fortunato nasce dalla relazione extraconiugale tra un uomo e una donna, che aveva già altri due figli (inclusa una ragazza avuta con l’uomo di cui diciamo). Fin qui poco male, anzi: la nascita di una creatura è sempre e comunque una lietissima novella per il cielo e per la terra. La donna partorisce in casa nel riserbo e si rivolge all’ex compagno perché porti con sé il neonato (ella chiarirà poi di averlo consegnato affinché lo portasse in sicurezza in ospedale). Le cose non andranno così. Il padre naturale fingerà di essersi casualmente imbattuto nel bambino dinanzi al suo esercizio commerciale. Ora l’uomo è stato condannato a due anni reclusione per abbandono di minore. Nel frattempo, Vittorio Fortunato, nel cuore vitale di una commozione nazionale e mediatica, viene affidato a una famiglia amorevole per tre anni nevralgici. E però, la madre adesso chiede di potere riavere suo figlio, un figlio che ella, ribadisce, non aveva mai inteso abbandonare. Le danno ragione. L’intervento della Corte di Cassazione dispone il ritorno del piccolo dalla madre naturale entro la fine di dicembre. La Corte d’appello per i minorenni di Catania ha disposto la “restituzione” del piccolo alla madre naturale. La restituzione. Le parole hanno un senso. 

I genitori affidatari avevano fatto richiesta di adozione. Ora possono solo protestare. Comprensibilmente. Legittimamente. Una marcia di protesta per lasciare Vittorio Fortunato alla famiglia affidataria è il senso di una iniziativa per il primo sabato di dicembre a Catania. E più di 38mila sono le firme raccolte dalla petizione online “Lasciate Miele (attuale nome di Vittorio Fortunato) con la sua mamma e il suo papà” lanciata dagli affidatari. “Una marcia per Miele – Manifestazione pacifica per dare una voce al piccolo”. 

Ecco, questo è il punto: io come psicologo non so se abbiamo noi il diritto di dare una voce al piccolo. Io non so quale sia stata la voce di Vittorio Fortunato quando è stato strappato dal grembo di sua mamma e allontanato da lei per tre anni. Non so quale sarà la voce di Vittorio Fortunato quando sarà improvvisamente separato dalle persone che per tre anni lo hanno allevato con amore. Non so quale sarà la voce di Vittorio Fortunato fra qualche tempo, quando conoscerà la verità. Non so quale sarebbe stata la voce di Vittorio Fortunato se fosse rimasto fino a diciotto anni e avesse cercato poi la verità delle sue origini. Io non sono Vittorio Fortunato. Non gli assegnerò le mie parole. Lui avrà le sue. So per certa una cosa essenziale: i bambini sopravvivono a tutto e a qualsiasi separazione purché essa avvenga nella luce di un amore.

Gli organizzatori della marcia spiegano in una locandina: “Scendiamo in piazza perché i diritti dei minorenni non possono essere calpestati. Siamo cittadini che lottano per il rispetto delle leggi che tutelano i bambini …” 

Ecco, appunto. Io non so se il diritto del bambino è stato sottovalutato nel momento in cui è stato separato dalla mamma per tre anni o viceversa adesso. La Giustizia può e deve stabilire se i figli, che sono dei genitori naturali, non possono vivere con loro a causa di condizioni pregiudiziali severe.  

Anche il programma televisivo “Le Iene”, in onda su Italia 1, si è occupato della vicenda, lasciando a noi un interrogativo: i figli sono di chi li fa o di chi li cresce? Il destino del piccolo divide l’opinione pubblica sia locale che nazionale: da una parte ci sono coloro che pensano che i bambini siano delle madri che li hanno generati e che li vogliono, dall’altra coloro che si dicono sicuri del fatto che il bambino debba rimanere con la coppia che lo ha accolto, e giudicano sbagliato un ritorno alla mamma biologica, la quale nei fatti e al di là delle sincere intenzioni, consegnandolo al compagno di allora, l’avrebbe indirettamente abbandonato, salvo pentirsene successivamente (nel servizio, chiede che le venga restituito il figlio perché portato via contro la sua volontà).

I figli sono di chi li fa o di chi li cresce? I figli non sono di nessuno. Non sono oggetti di proprietà simbolica. I figli hanno diritto a crescere a fianco a chi li ha generati e a chi li ama. E solo specialisti e giudici possono sondare l’autenticità e limpidezza di chi li ama. Nella speranza che non si sbaglino. Gli specialisti e i giudici. Nell’auspicio che siano loro Fortunati. Nella grazia del giudizio.

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