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DEMOCRAZIA O MANIPOLAZIONE DEL CONSENSO?
27 Mag 2012 20:36
L’articolo 49 della Costituzione italiana prevede la possibilità per tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Tale “metodo democratico” come condizione essenziale della loro esistenza non è stato tuttavia definito da una successiva legge attuativa, lasciando la più ampia libertà organizzativa interna ai partiti.
Uno dei maggiori problemi dei partiti è quello della democrazia interna, ovvero la rappresentanza degli iscritti all’interno del partito stesso e il loro controllo sulla gestione e sulla linea politica. Tra gli elementi che condizionano negativamente la democrazia interna i più gravi sono senz’altro il meccanismo di finanziamento pubblico ai partiti, che istituzionalizza il sostentamento statale alle strutture dei partiti, favorendone la burocratizzazione e la trasformazione in strutture oligarchiche, a discapito di nuovi movimenti politici e partecipazione interna ai partiti stessi; e la compatibilità tra incarichi istituzionali e di partito, che portano gli eletti a rispondere al partito prima che agli elettori.
Ma se questi sono i tradizionali problemi che emergono quando si parla di partiti tradizionali, è del tutto diversa la realtà che vediamo quando vogliamo analizzare le forme partito che hanno caratterizzato la II repubblica, con le organizzazioni politiche di Berlusconi, e il fenomeno attuale del movimento 5 stelle di Beppe Grillo.
Intanto, entrambi sono partiti con una organizzazione partito che, in dispregio assoluto della previsione costituzionale non è un’associazione ma un partito azienda proprietario.
Entrambi, poi, sono due grandi esperti di comunicazione (nel secondo caso anche di nuovi media, oltre che dei vecchi) che decidono di impegnarsi fattivamente nelle vicende della politica italiana. E se la politica è divenuta anzitutto comunicazione politica non c’è da sorprendersi se le abilità del comico producono successi elettorali.
Se Berlusconi costruì la sua fortuna sull’uso spregiudicato e moderno del sistema comunicativo, Beppe Grillo (pseudo terza repubblica) e il movimento che a lui si richiama stanno ottenendo successi sulla base del passaggio dai vecchi media (televisione, radio, giornali) ai nuovi (la rete), e sull’idea per cui la rete siamo tutti noi. Insomma, quasi la realizzazione della democrazia diretta, resa stavolta possibile dalle tecnologie di Internet.
Che ci siano dei parallelismi fra i due “comici” è innegabile: intanto il gioco facile che hanno avuto e hanno entrambi nel colmare il vuoto lasciato da una comunicazione politica rigida e patetica di una classe politica a dir poco inadatta, gravata profondamente da scandali che permettono al primo nuovo che si presenta di accreditarsi come l’eroe salvifico.
Poi la capacità di entrambi di richiamare alla “politica” quelli che se ne astenevano da tanto tempo, ma soprattutto i giovani che hanno più di una ragione per avercela coi partiti tradizionali: niente meritocrazia, niente lavoro, gerontocrazia a tutti i livelli. Ma che ora, e non ci si spiega perché, vanno appresso a un pifferaio che non deve fare più sessant’anni.
E come allora non c’era nessuno a ostacolare Berlusconi, che oggi torna a offrire, con scarse chance a dire il vero, l’elezione diretta del capo dello stato quale sistema di potere diretto dei cittadini, oggi non sembra esservi nessuno in grado di ostacolare un movimento che ritiene di rappresentarci tutti, grazie al collante straordinario offerto dalla rete. Il primo doveva salvarci dai comunisti, il secondo intende salvarci da una classe politica e dirigente che si presenta nella sua quasi totalità incapace, anacronistica e truffaldina. E soprattutto non può propinarci l’artificio retorico del governo di tutti: perché ogni volta che qualcuno ci ha offerto tale prospettiva, ne è seguito un ventennio di tragedia.
Questi sono gli elementi di una rivoluzione che da tecnologica e comunicativa è diventata politica e rappresentativa. Se ne può negare o ridurre la portata e rubricarla nell’alveo insignificante dell’ anti-politica. Ma la vera tragedia di questi fenomeni sono i capisaldi “teorici” di questa rivoluzione tecno-politica: la logica manichea del buoni/cattivi, onesti/corrotti, casta/popolo della rete che non può portare a qualcosa di buono per il nostro Paese, in un periodo difficile che richiede idee forti e decisioni tutt’altro che indistinte. Si può fondare la politica di un intero movimento su una diversità fondata sull’onestà di coloro che la compongono? Chi è veramente onesto deve dire cosa vuole fare nel concreto rispetto alla politica economica, a quella estera, all’istruzione e la sanità, alle misure per riformare e rilanciare una macchina stanca e logorata.
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