CUOCERE O NON CUOCERE? L’EFFETTO DELLA COTTURA SUGLI ALIMENTI

L’effetto della cottura su un cibo dipende da più fattori: il metodo, la temperatura e la durata, oltre che dalle caratteristiche intrinseche dell’alimento stesso.

Molti pensano che cuocere gli alimenti sia dannoso, perché la cottura ne “distruggerebbe le proprietà nutritive”. Ma non è sempre così, anzi: questo avviene solo in misura molto limitata, e se non si usa il metodo migliore per l’alimento in questione. In alcuni casi, inoltre, la cottura è decisamente necessaria per rendere il cibo commestibile o più digeribile, oltre che per aumentarne il gusto e la sicurezza igienica.

Per esempio, cuocere alimenti come carne, pesce e uova è fortemente consigliato per prevenire infezioni e tossinfezioni, soprattutto se a mangiarli sono bambini, donne in gravidanza o in fase di allattamento, anziani e persone immunodepresse. C’è da dire, però, che le uova possono essere consumate anche crude, se si è certi della provenienza e della freschezza, e lo stesso vale per alcuni tipi di pesce e di carne, previa marinatura o altri trattamenti che ne riducano il rischio infettivo.

La cottura, d’altro canto, in molti casi migliora la biodisponibilità di determinati nutrienti, come avviene nel caso del licopene, un antiossidante contenuto nel pomodoro, che è assorbito più facilmente dall’organismo proprio a seguito della cottura, perché le alte temperature ne alterano la struttura chimica, facilitando così la sua digestione: meglio consumare salsa, sugo o concentrato, piuttosto che sempre e solo pomodori in insalata, e ancora meglio se vi è la presenza contemporanea di un grasso, come nel caso del ragù o del semplice olio extra-vergine d’oliva.

Qualcuno starà pensando che in questo modo viene persa la vitamina C, ma si tratta di una perdita senza significato! Non è il pomodoro (né il peperone) la miglior fonte alimentare di vitamina C, bensì la frutta, che generalmente viene consumata cruda.

Altri vantaggi della cottura riguardano l’eliminazione di sostanze non digeribili o dannose, come nel caso dell’acido fitico di cereali e legumi, che contrasta l’assorbimento di vitamine e minerali, o dei glucosidi presenti nel cavolo, potenziali inibitori della funzione tiroidea, o ancora, dell’avidina presente nell’albume, una glicoproteina che si lega alla biotina, impedendone l’assorbimento, e la cui attività antivitaminica viene del tutto persa con la cottura.

Per quanto riguarda l’aspetto antibatterico, l’efficacia della cottura dipende sia dalla temperatura sia dal tempo di permanenza del cibo a quella data temperatura. Cotture troppo prolungate, infatti, possono dare origine a composti tossici. Per esempio, nel caso delle patate e di altri alimenti amidacei (contenenti soprattutto carboidrati), la cottura prolungata ad alte temperature può dar origine all’acrilammide; per evitarlo, è bene interrompere la cottura al colore giallo dorato, prima che si formino zone marroni o più scure. Dai grassi, invece, si formano i perossidi (reazione tipica quando si frigge usando lo stesso olio più volte, peggio ancora se di bassa qualità), e dagli alimenti proteici le amine eterocicliche. È sempre consigliato, quindi, evitare di bruciare i cibi!

Vediamo adesso i diversi metodi di cottura, e i rispettivi pro e contro.

Con la lessatura, gli alimenti sono immersi in acqua a 100 °C (120 °C circa in pentola a pressione). Una parte delle vitamine viene distrutta, e una parte dei minerali passa nell’acqua di cottura. Se è questo lo scopo, come nel caso del brodo, allora è meglio iniziare la cottura in acqua fredda e prolungarne la durata. Se, al contrario, l’obiettivo è consumare l’alimento, meglio immergerlo in acqua già bollente (poca, giusto il necessario per coprirlo), e ridurre i tempi il più possibile; a tal proposito, la cottura a pressione è perfetta, in quanto non c’è immersione totale in acqua e la cottura è notevolmente più veloce, così la dispersione dei nutrienti nel liquido è ridotta al minimo.

Le temperature che si raggiungono con la lessatura permettono di distruggere i batteri, ma non le spore e alcune tossine. Infine, è una modalità che permette di condire a crudo, senza utilizzare grassi ad alta temperatura.

La cottura a vapore, con le pentole o gli appositi cestelli, è simile alla lessatura, ma non essendoci immersione in acqua dell’alimento, non vi è perdita di nutrienti, e le caratteristiche di sapore e consistenza sono più salvaguardate. È indicata soprattutto per verdure, pesce e crostacei. Le temperature raggiunte sono inferiori ai 100°C, ma consentono comunque di uccidere la maggioranza dei batteri patogeni.

Brasatura e stufatura sono tecniche di cottura a fuoco basso, prevedono tempi lunghi e comportano quindi una discreta perdita di vitamine e minerali che, tuttavia, si ritrovano nel liquido di cottura, generalmente consumato come parte integrante della pietanza.

La cottura in forno, invece, utilizza il calore secco, e arriva a sterilizzare l’alimento (distruggere cioè anche le spore), date le maggiori temperature e tempi di cottura, ma solo in superficie; all’interno, invece, la temperatura rimane più bassa, quindi, è consigliabile cuocere pezzi non molto grandi e usare forni ventilati. In alcuni casi, il grasso dell’alimento stesso e piccoli accorgimenti, come l’utilizzo di carta da forno o del cartoccio, possono evitare l’aggiunta di grassi che, cuocendo, possono diventare nocivi per la salute.

La cottura al microonde non richiede l’aggiunta né di grassi né di liquidi, e la velocità di preparazione comporta poche perdite di vitamine e minerali. Le radiazioni emesse nel microonde agitano le molecole d’acqua presenti nell’alimento (e eventualmente nel contenitore, se non è quello apposito), e questo movimento genera calore dal cuore verso l’esterno. L’efficacia di sterilizzazione è simile a quella della lessatura.

Cuocere alla griglia o alla piastra porta il cibo a temperature molto elevate. Occorre, quindi, fare attenzione alle parti carbonizzate, che è meglio eliminare perché possono contenere composti tossici (idrocarburi policiclici aromatici e amine eterocicliche). La formazione di questi composti può essere notevolmente ridotta se prima della cottura l’alimento viene marinato in olio extravergine di oliva; è bene, inoltre, evitare di salare gli alimenti prima di cuocerli, poiché il sale comporta la fuoriuscita dei liquidi interni, con il risultato finale di un cibo secco.

Griglia e piastra eliminano rapidamente batteri e spore sulla superficie, ma, se il cibo è tagliato in pezzi troppo grossi, che rimangono crudi all’interno (carne al sangue), la “bonifica” può essere solo superficiale.

Nel caso della frittura, il problema principale è l’ossidazione dell’olio, che comporta l’assorbimento da parte degli alimenti di sostanze ossidate (acroleina in primis), potenzialmente dannose per la salute. Per questo è sempre meglio friggere con olio extravergine d’oliva (ricco di antiossidanti e resistente alle alte temperature) o di arachidi, mentre sono da evitare gli altri oli più insaturi (mais, girasole e semi vari) o le margarine. La temperatura ideale è 180°, e non bisogna comunque superare i 200°. Inoltre, per ottenere un buon fritto, poco grasso e ossidato, si deve cuocere in olio sempre bollente e abbondante rispetto alla quantità di cibo da friggere (minore è la qualità più olio viene assorbito dall’alimento), e per diminuire i tempi di esposizione alle alte temperature è meglio friggere pezzi piccoli. Infine, mai riutilizzare lo stesso olio!

È chiaro, dunque, che non esiste un metodo di cottura migliore di un altro: ciascuno di essi può essere utilizzato in maniera corretta, in base alla ricetta e al tempo a disposizione. È fondamentale, piuttosto, sapere se, come e quanto cuocere un dato alimento, e alternare sempre l’assunzione di cibi crudi e cotti, per garantire all’organismo l’apporto OTTIMALE di tutti i nutrienti.

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