CIO’ CHE MANCHERA’ AL TOSSICODIPENDENTE, SARA’ LA MANCANZA DI DIPENDERE DA QUALCOSA

  Mi rendo conto che quello delle tossicodipendenze è uno degli argomenti più antichi, spinosi e allo stesso tempo più delicati da trattare. Credo però sia necessario parlarne, con una logica magari non “classica” (quella accusatoria per intenderci), perché dietro ogni tossicomania si cela un vissuto di sofferenza e le persone che stanno male, anche nella nostra realtà territoriale, sono davvero tante e spesso si tratta di giovanissimi.

Perché ci si abbandona alla droga? Quali possono essere le strade che portano alla liberazione e alla guarigione?

Sono le domande più comuni, e mai banali, che spesso ci poniamo e a cui cercherò di dare delle risposte.

Perché ci si abbandona alla droga?

Credo che a tutti sia capitato di sorprendersi a mangiucchiare salatini e noccioline, macchinalmente, pescandoli dalla ciotola che si ha davanti, fino ad avvertire il senso del troppo pieno ma, nonostante ciò, non riuscire ugualmente a fermarsi, continuando a stuzzicare per “puro piacere”. “L’effetto nocciolina” è un banalissimo ma efficace esempio per dimostrare come tutto nasca dal puro gusto del piacere; a questo subentra poi la difficoltà di fermarsi, che scivola lentamente nell’abitudine, abitudine che diventa invadente nel momento in cui svanisce il piacere iniziale. E’ questo il punto di partenza di molti comportamenti di dipendenza e lo slittamento è progressivo. Si tratta di un incontro emotivamente e fisicamente forte con un prodotto o un comportamento che “aggancia” il futuro tossicomane, facendogli credere di soddisfare le sue aspettative.

Ovviamente non tutte le persone che sperimentano droghe illegali ne diventano poi dipendenti, ma per qualcuno l’incontro è folgorante. In quel “qualcuno” il legame con la sostanza o il comportamento da cui dipendere risponde a dei precisi bisogni psichici, fisici e familiari. La dipendenza non consiste in una patologia che interviene casualmente nella vita delle persone, occorre una vulnerabilità di base che porti a ricorrere, sotto stress, all’uso delle droghe o delle sostanza con cui instaurare poi una relazione di dipendenza.

Ogni dipendenza è volta a realizzare una nuova identità, una forma di sé migliore con cui il soggetto si vive come potente e felice e non si sente più limitato. Si coltiva l’illusione che la sostanza permetta di costruirsi un’identità migliore. Il termine “dipendente” non si riferisce infatti alla sostanza, ma alla relazione con la sostanza.

Quali possono essere le strade che portano alla liberazione e alla guarigione?

Il tossicomane deve riprendere la strada interrotta: lui è ciò che era prima dell’incontro con la droga, con in più la confusione, i danni e la falsa coscienza acquisite durante la tossicodipendenza, e con in meno le possibilità che non ha colto, le risorse che ha distrutto, il tempo trascorso penosamente.

Qualsiasi servizio terapeutico che si prenda cura dei tossicomani (pubblico e privato) credo debba favorire la responsabilizzazione e non la colpevolizzazione, cercando di capire cosa loro siano disposti a fare, in cosa possano impegnarsi e trasformare quest’impegno da individuale a collettivo. Il supporto della famiglia e della società è utile e indispensabile, perché può fornire oltre che un valido sostegno anche la soluzione che può favorire la guarigione.

Immaginare il loro futuro significa ri-contestualizzarli nella società e questo significa soprattutto ridare loro spazio e tempo, persi e congelati durante la tossicomania.

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