È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
Che palle la creatività!
23 Giu 2017 16:28
Che palle la monotonia di recarsi ogni giorno allo stesso posto di lavoro, di sedersi tutti i giorni alla stessa scrivania, reiterare per anni, per decenni sempre gli stessi identici compiti. E poi la pausa per il caffè, sempre lo stesso contornato dalle solite quattro chiacchiere coi colleghi. E poi il pranzo con la stessa moglie, sempre la stessa, e la reiterata tiritera degli accidenti dei figli, della scuola, dei compleanni da festeggiare, dei regali da fare, della spesa sempre più cara. E poi il pomeriggio al circolo coi soliti amici, sempre gli stessi da anni e le stesse identiche partite a briscola e scopa. E la sera poi, la sera c’è la tv, sempre la stessa anche essa, talmente monotona che neanche peggiora: ha raggiunto il massimo del peggio!
Che bella invece la creatività! Rigenerare e ristrutturare elementi preesistenti per produrre ogni giorno qualcosa di nuovo e di originale che suscita sorpresa tanto nel creatore quanto in chi gli sta attorno. Ah, che bello menare una vita creativa! Tutti i giorni una cosa nuova, tutti i giorni una sorpresa.
Tutti i giorni?! Essere creativi tutti i giorni?! Ma non è una monotonia?! Inventarsi ogni giorno come menare la giornata?! Due palle!
La monotonia della routine o la monotonia della creatività: questo è il problema!
L’uomo è come stimolato da due spinte contrapposte. Da una parte ha curiosità, ricerca il nuovo, desidera orizzonti più ampi. “Considerate la vostra semenza / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza” dice ai suoi compagni l’Ulisse di Dante nel Canto XXVI dell’Inferno. Dall’altra tende a conformarsi all’esistente, al già noto, all’Ipse dixit [l’ha detto lui, formula usata nell’antichità dai seguaci di Pitagora con riferimento all’autorità del maestro e nel Medioevo con riferimento all’autorità di Aristotele], alla verità incontestabile, alla parola di Dio. Da una parte smania verso l’ignoto e dall’altra ama gongolare nella tranquillità dei propri confini. Da una parte è attratto dalla trasgressione e dall’altra ricerca sicurezza nelle regole. Da una parte è attratto da quanto sta oltre la soglia di casa e dall’altra adora crogiolarsi nel tepore della tana. Dice un proverbio: la montagna più alta da scalare è la soglia della propria casa.
L’Ulisse di Dante è l’eroe della conoscenza, il viaggiatore che vuole tutto vedere e tutto sperimentare. È il pensatore disposto a spingersi oltre le Colonne d’Ercole del sapere, verso le idee trascendentali della ragione e le verità ultime la cui ricerca rischia, come Kant ha mostrato evidenziando la soggettività della conoscenza, il naufragio intellettuale, l’inabissarsi nell’inconsistenza e nella contraddizione, l’annegare nel discorso vuoto. E il rischio del naufragio non è solo metaforico ma reale se si pensa alla esplosione produttiva dei ricercatori e alla conseguente enorme quantità di pubblicazioni scientifiche spesso settoriali, spesso insignificanti e comunque sempre inintelligibili per noi comuni mortali. E peggio ancora quando il naufragio diventa tragedia per tutte quelle conoscenze usate dall’uomo contro l’uomo.
E però la conoscenza di Ulisse è ingannatrice perché fine a se stessa, è cupidigia, è sete di indefinita crescita di se stessa, è senza ordine e senza virtù. La conoscenza positiva invece si nutre dell’amore e della responsabilità, è rivolta agli altri, ha un fine, si dà un ordine e si fa guidare dalla virtù. Ulisse va non perché, con consapevolezza e responsabilità, ha deciso di andare, ma perché travolto da tale ardore del sapere che neanche gli affetti familiari riescono a frenare. Va perché non sa stare, va pur di andare e non importa dove e a quale scopo. E vede il nuovo, una montagna, alta tanto quanto mai alcuno aveva visto, si rallegra ma presto finisce in pianto ché dalla nuova terra si scatena un turbine che travolge e affonda la barca.
Ulisse incarna la dualità della sicurezza dentro i confini e il desiderio di andare oltre. Dualità questa di cui si ha avuto coscienza sin dai tempi remoti come testimoniano i miti della cultura arcaica. Romolo traccia il solco e definisce il confine che determina e delimita il possesso, i linguaggi, le norme, i valori etici riconosciuti e condivisi, l’identità che dà sicurezza. Il solco è il simbolo e lo strumento che ci separa dall’altro, ma anche dall’altro che è dentro di noi e che ci inquieta. Che ci separa da Remo, dall’archetipo, dal primordiale, dall’ancestrale, dal misterioso, dall’irrazionale che è in ognuno di noi. Senza solco si ha anomia e non sappiamo chi siamo. Sul solco Romolo uccide Remo e costruisce Roma. Analogamente nella Bibbia: Caino uccide Abele e fonda la città. Romolo e Remo, Caino e Abele: la dualità dell’essere umano. La morte di Remo, come quella di Abele, è il sacrificio della parte di noi che è in gestazione in nome della convivenza civile.
La curiosità, la fantasia, l’eccellenza dell’ingegno, la creatività, sono doni (di Dio, per chi ha fede), privilegi dell’uomo, che però devono essere custoditi e tenuti a freno con infinita cautela perché non accada che non siano guidati dalla virtù. «E più lo ingegno affreno ch’io non soglio, / perché nol corra che virtù nol guidi» Dante, Inferno,canto XXXIII.
Peter B. Medawar (1915-1987, immunologo inglese, premio Nobel per la medicina nel 1960, prolifico scrittore nel campo della epistemologia scientifica) nel suo saggio “I limiti della scienza” (Boringhieri, Torino , 1985), racconta che nello stemma della famiglia reale di Spagna spiccavano le colonne d’Ercole e il motto Ne plus ultra: non si può andare oltre. Dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, finanziato dalla corona di Spagna, il motto fu trasformato in Plus ultra: si può andare oltre. Anche nella conoscenza, dopo la svolta radicale data da Galileo e Newton, dal sapere antico e cristallizzato e in apparenza invalicabile – Ne plus ultra – si passa a “navigare” nell’oceano senza confini – Plus ultra.
Non esistono confini: l’importante è farsi guidare dalla virtù. Nessuna censura, quindi, né in nome di Dio o di un Bene superiore di cui solo i potenti detengono il diritto della corretta interpretazione ma virtù, senno e saggezza tradotti e concretizzati in regole democratiche, condivise e modificabili. Abele e Remo devono essere sacrificati, continuamente sacrificati perché la convivenza civile progredisca.
Alfred Jarry (1873/1907) drammaturgo francese: «una cieca e inflessibile mancanza di disciplina in ogni tempo costituisce la vera forza di tutti gli uomini liberi».
E, tuttavia, una ruota quadrata è un errore o una possibilità? Questo è il problema!
Ragusa, 10 febbraio 2010
Ciccio Schembari
Pubblicato sul n. 55/2010 “Che barba! I giorni della monotonia” della rivista online www.operaincerta.it
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