Aveva 25 anni ed era padre di tre figli il ragazzo suicidatosi in carcere a Ragusa. Totò Cuffaro: “avrei voluto fare un pò di strada con lui”

Aveva soltanto venticinque anni il ragazzo che l’altro ieri si è tolto la vita al carcere di contrada Pendente a Ragusa. Era padre di tre figli. Addolorano queste informazioni e si spera che questa non sia l’ennesima morte invisibile nelle carceri italiane. La morte del giovane detenuto netino ha scosso molto la comunità ragusana che si sta, in queste ore, confrontando anche con questo dramma, non diverso da quello della giovane modicana che anche lei, a soli 22 anni ha deciso di togliersi la vita. Esperienze di vita diverse, certamente diverse, ma che entrambe le loro esperienze, il loro vissuto, le loro ferite, li hanno condotti alla scelta estrema, impossibile da accettare e da condividere.

A noi non resta esclusivamente che interrogarci nel nostro intimo, senza esprimere giudizi, e su ognuno di noi grava il compito di impegnarci, secondo le proprie forze, capacità e ruolo nella società, affinchè tutto ciò non torni ad accadere e siano altri i sentimenti che prevalgano, nella nostra società,rispetto indifferenza e solitudine

Totò Cuffaro, oggi presidente delle Dc, un tempo potente politico siciliano e poi detenuto che la dura realtà del carcere ha conosciuto molto bene, scrive parole accorate e piene di tanto rammarico e sofferenza a proposito di questa ennesima tragedia.

“Sono i miei giorni d’estate in Burundi, giorni di caldo, di bambini, sorrisi e speranza. Nella mia amata Sicilia, invece, sono giorni diSanta Rosalia, di Fratello Biagio e di don Pino Puglisi, tre santi beati
e martiri che hanno donato amore a chiunque abbia incontrato il loro sguardo, il loro sorriso, la loro fede e la loro generosità.  Ma, in Sicilia, sono anche giorni di morti invisibili come C.S, un detenuto di
25 anni, sposato e papà di tre bambini originario di Noto, suicidatosi all’interno del penitenziario di Ragusa. Non lo conoscevo, mi hanno raccontato di lui le poche notizie che circolano, ma una su tutte mi ha colpito, quella del suo sorriso davanti all’espiazione della pena che, però, non è bastato per tenerlo legato alla speranza, come non è bastato l’amore per i suoi bambini e per sua moglie a strapparlo dalle braccia della morte.

Forse S.C. ha pensato che non potesse esistere una beatitudine più grande che morire da uomo libero o, forse, ha deciso di inchiodare la sua anima disperata dietro quelle sbarre. Dal Burundi penso che mi
sarebbe piaciuto camminare accanto a questo ragazzo, fare con lui un pezzo di strada, creare una esperienza viva in quella drammatica realtà che ti toglie il fiato come in carcere. Magari, chissà, aiutandolo a scegliere la vita anziché abbracciare la morte. Quella del carcere è una esperienza dall’odore incancellabile, c’è il dolore in tutta la sua sacralità, e se mi soffermo un attimo batte ancora con urgenza quel dolore. Venticinque anni sono troppo pochi, troppo pochi.

Sono le otto del mattino qui ci sono tutti i colori dell’estate ma dentro di me è inverno…mi giungono dalla stampa le parole del segretario nazionale della PolGiust, Francesco Davide Scaduto, che sottolinea, in
una nota, come la sicurezza degli istituti penitenziari non sia più argomento di interesse pubblico e, io, aggiungo anche politico.  E io dall’estate del Burundi ma dell’inverno del mio cuore non posso che
dargli ragione. Fai buon viaggio ragazzo, alla tua famiglia e ai tuoi bambini giunga tutto il mio cordoglio”.

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