A QUALCUNO PIACE CARO

Tramite la stampa giornaliera si apprende che la recessione sarebbe per finire e seppure secondo le previsione ci possa essere un aumento del prodotto interno lordo, sia pure in una percentuale inferiore ad uno, gli indici di disoccupazione  non diminuiranno. Si prevede altresì che i prossimi sei mesi per i problemi in parte accennati saranno decisivi.

Negli anni in cui il nostro paese era collocato fra i primi dieci produttori al mondo, la macchina statale consentiva – tanto per fare un esempio – che un artigiano poteva andare in pensione dopo un’attività lavorativa di diciotto anni, sei mesi e un giorno e ciò avveniva non per autonoma scelta del lavoratore ma perché una legge così prescriveva.

Negli enti locali, sempre per legge, era sufficiente andare in pensione con il sistema retributivo dopo 25 anni di servizio e solo con una legge approvata dal governo Dini si adottò quello contributivo eccezion fatta per i dipendenti pubblici aventi maturato un’anzianità di servizio non inferiore a 18 anni.

La crisi che è cominciata a farsi sentire dal 2008 in avanti ed esplodere nei confronti di chi andava alla ricerca di un posto di lavoro negli ultimi anni non pare proprio che possa terminar presto.

Ed ecco allora che da tre anni a questa parte si cerca di attuare come primo atto una riforma strutturale della spesa pubblica che in linea puramente teorica tutti i politici  si dichiarano d’accordo, tranne poi a differenziarsi quando si individuano i settori su cui fa ricadere la scure dei tagli o degli aggiustamenti virtuosi.

I tagli lineari degli anni scorsi nella sostanza evitavano singoli e specifici settori per sollevare le critiche e le opposizioni della classe politica intermedia che, in effetti, aveva dato una loro vita ed esistenza.

D’altra parte occorre pure ammettere che la nostra quotidianità si è nutrita anche di esigenze voluttuarie per scelta personale o per induzione che potevano e possono avere una loro giustificazione in stagioni di vacche grasse, ma non nello stato attuale che aumenta e aspira in un vortice sempre più veloce milioni di persone rendendole povere e prive di un futuro migliore.

Le riforme renziane in parte anche criticabili intendono invertire tale senso di marcia ma trovano contrasti dialettici congiunti a proposte in parte anche ridimensionatrici a palese dimostrazione che un assetto sociale non può essere rivoluzionato con un voto di maggioranza, ma deve piuttosto provenire da una diffusa consapevolezza culturale che non crearsi nell’arco di qualche mese.

Occorre, altresì, fare i conti con una contingenza temporalmente vicina che è data dal definitivo placet della pagella di Bruxelles che stando al dato matematico del nostro prodotto interno lordo che nel 2014 ha chiuso on un meno 0,4% ci potrebbe chiedere una correzione intercorrente fra 4 e 6 miliardi di euro.

In termini più chiari la grande tegola che può caderci sulla testa è data da un’inversione di tendenza finalizzata a recuperare risorse dalle riforme strutturali per destinarle agli investimenti e le divergenze attuative nascono proprio dallo stabilire quali settori della struttura pubblica devono essere profondamente rivisitati per reperire in continuo nel tempo risorse per gli investimenti produttivi.

 Non è impresa semplice e lineare e se qualcuno pensa che lo sia significa proprio che non intende incidere su alcuna tipologia di scelta quotidiana stante che vorrebbe continuare, anche per interesse di parte, a non apportare differenza alcuna fra esigenze di vita o voluttuarie o essenziali.

E se è – come lo è  in effetti – che il torto e la ragione non possono dividersi con un taglio netto allo stesso modo non si può scaricare solo su alcune categorie sociali il peso della crisi nel mentre le altre continuano a privilegiarsi delle risorse accumulate nel tempo.

I prossimi sei mesi saranno pertanto molto decisivi sia per le riforme che al riguardo intende portare avanti il governo e sia per probabile intervento del maestro di scuola che per quanto ci riguarda è il palazzo di Bruxelles.

Saremmo tentati ad esemplificare alcuni tratti del nostro vivere quotidiano per operare la distinzione fra ciò che è essenziale per la nostra vita e di cui non se può fare a meno e fra ciò, invece, che ci attira o ci viene indotto come essenziale e che invece non lo è affatto. Ogni lettore attento leggendo la sua vita giornaliera non potrà che rendersene conto.

 

                                                                                    Politicus

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it