UN GIORNO IL MIO PRINCIPE VERRA’

Puntata anomala quella di oggi: ci faremo mancare il libro ma, in compenso, ci trastulleremo con molta musica.

Il filo è quello del film disneyano Biancaneve e i sette nani, del 1937, il primo capolavoro dell’animazione (allora non si diceva così…).

La storia la conosciamo tutti: buona parte della mia infanzia è stata scandita dal racconto, direi liturgico, della principessa risvegliata dall’amore e dei suoi piccoli devoti amici. Una meravigliosa sinfonia di immagini e suoni, che travolse bimbi e genitori e fece innamorare generazioni di spettatori.

Ciò che si conosce meno è probabilmente il fatto che uno dei temi musicali della sua soundtrack,  Someday my prince will come,  è divenuto uno dei più visitati dai jazzisti. Il segreto di tanto successo pare sia dovuto a due cose fondamentali: la bellezza e semplicità della melodia, la sua struttura metrica inusitata (un valzerino che, come ogni composizione in tempo dispari, stuzzica molto la fantasia dei musicisti).

I pianisti, in particolare, ne hanno fatto uno standard, a partire da Dave Brubeck, che dedicò un intero album ai temi del songbook disneyano. Lo stesso Davis, che ha sempre avuto il genio di attingere al repertorio pop (ricordo la sua versione straordinaria di Time after time di Cindy Lauper), lo propose in uno dei suoi dischi migliori, offrendo a Winton Kelly l’occasione di cimentarsi con questo gioiello. Keith Jarrett, manco a dirlo, ne ha proposto versioni multiple che esaltano – com’è suo solito – la forza melodica del tema. Il nostro Enrico Pieranunzi, uno dei più grandi pianisti al mondo, l’ha più volte sventrato, ricostruito e ne ha fatto uscire fuori l’infinita potenzialità armonica dei suoi accordi.  Chet Baker l’ha prosciugato, nel suo stile antiretorico, trasformandolo in poesia.

Ma la versione che preferisco in assoluto è quella di Kenny Werner, che il pianista americano eseguì nel suo solo-concert al Maybeck Hall: un lungo, sognante soliloquio melodico in cui la dolce malinconia del tema si trasfigura in accenti boppish stracolmi di jazz feeling. Una meraviglia.

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