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Il lato oscuro dei Bronzi di Riace: la procura di Siracusa apre un’ inchiesta
06 Mag 2025 11:30
A più di mezzo secolo dal loro ritrovamento, i Bronzi di Riace – capolavori assoluti della statuaria greca – continuano a essere avvolti da un alone di mistero. Nonostante siano divenuti simbolo della Calabria e tesori dell’arte classica ammirati in tutto il mondo, la loro storia potrebbe non essere esattamente quella che conosciamo. O che ci è stata raccontata.
Nel cuore della notte televisiva, lo Speciale Tg1 di Dania Mondini ha riaperto il caso con una documentata inchiesta tra scienza, archeologia e archeomafie. Ne emerge un quadro inquietante: testimonianze mai raccolte prima, analisi archeometriche avanzate, una fotografia inviata in forma anonima, e una nuova indagine – silenziosa ma concreta – aperta dalla Procura di Siracusa.
Secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Sud, il fascicolo è a carico di ignoti, ma mira a ricostruire cosa accadde davvero nel 1971 al largo di Brucoli, nel Siracusano, dove – secondo le ipotesi degli archeologi americani Holloway e McCann – i Bronzi sarebbero stati ritrovati per la prima volta, e non un anno dopo a Marina di Riace.
La narrazione ufficiale parla infatti di un ritrovamento fortuito, il 16 agosto del 1972, da parte di un sub dilettante nei fondali calabresi. Ma alcune recenti testimonianze, raccolte in Sicilia, cambiano le carte in tavola. Mimmo Bertoni, figlio del titolare dello storico ristorante “Trotilon” di Brucoli, afferma di aver assistito, da bambino, al trasbordo di quattro statue coperte, una delle quali presentava “una lancia, un elmo e uno scudo”.
A rendere il racconto ancora più sconcertante è il coinvolgimento, seppur indiretto, di Jacques Cousteau, leggendario esploratore del mare, che in quei giorni stava girando un documentario nella zona e si avvaleva – secondo Bertoni – di sommozzatori provenienti da Roma e dalla Calabria.
Una foto inedita, giunta in forma anonima ad alcune redazioni, mostra una statua bronzea sorretta da due subacquei, sullo sfondo riconoscibile di Brucoli con l’Etna e una nave ormeggiata. Una prova? Un fotomontaggio? O un indizio lasciato, oggi, a chi voglia finalmente scoperchiare il vaso di Pandora?
Anche la scienza comincia a mettere in dubbio la narrazione lineare. Secondo Anselmo Madeddu, medico e studioso di bronzistica greca, l’analisi geochimica dei materiali di saldatura utilizzati nei Bronzi suggerisce una compatibilità con i limi marini del Siracusano, più che con quelli calabresi.
Infine, in questo intrigo che sa di romanzo noir, si affaccia l’ombra inquietante di un boss italo-americano, coinvolto nel traffico internazionale di reperti archeologici. Una rete oscura che negli anni Settanta avrebbe potuto orchestrare il recupero, la movimentazione e il “trasferimento” delle statue, depistando le tracce del ritrovamento.
La domanda che torna, insistente, è la più semplice e la più difficile: da dove vengono davvero i Bronzi di Riace? E soprattutto: erano davvero solo due?
Oggi, mentre l’inchiesta giudiziaria prova a fare chiarezza, l’Italia si trova davanti al dovere di riscrivere – forse – una delle pagine più iconiche e fragili della sua identità culturale. Tra verità sommerse, silenzi interessati e memorie ritrovate, i Bronzi continuano a parlare.
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