“SICILIA: STORIA DI UN NAUFRAGIO AL PROFUMO DI DEFAULT”

Il teatrino itinerante della politica, in questi giorni, detiene in programma la tragicommedia “Sicilia: storia di un naufragio al profumo di default”.

I protagonisti lottano a suon di promesse, smentite e annunci, ora catastrofici, ora risolutivi, per riemergere dalle acque tempestose; mentre gli spettatori, come al solito, sono destabilizzati e sospesi dalla fiumana incomprensibile di parole.

Dopo le notizie allarmanti su un possibile default della Sicilia, il cui debito ammonterebbe a 6 miliardi di euro, le smentite da parte di Lombardo e le ipotesi di un commissariamento, è la volta di dire la nostra sulle dichiarazioni autonomiste o meglio separatiste che sono ripiombate come la peste più nera in questi giorni.

Le dichiarazioni di coloro che auspicano una Sicilia scissa dall’Italia sono pericolose, anacronistiche e volte ad una attentato alla nostra storia. Qualsiasi spinta autonomista, sia che provenga dal Nord o dal Sud, deve disgustare, perché getta nauseabondo fango sul sangue versato dai nostri avi, i quali si sono battuti per l’Unità d’ Italia e per la nostra Libertà.

Inviterei Lor Signori ad informarsi meglio sulle millantate risorse petrolifere Siciliane, poiché sono di scarsissima qualità; i costi per raffinare il greggio sono esorbitanti, le modalità di estrazione dannosissime per la salute.

Una Sicilia, commissariata dallo Stato?

Ben volentieri, direi, se fossi veramente sicura di estirpare la politica di laisser faire, la poca trasparenza, le troppe seggiole rosse, la corruzione e quell’atteggiamento mafioso che spesso frena e divora le potenzialità sane della nostra Terra.

Il problema è che non me la sentirei di affidare la Mia Sicilia ad una classe politica che ama il vile potere ed è pronta a saltare sul carro del vincitore per dar prova solo di inequivocabile trasformismo.

Sciascia aveva ragione: «Se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia, dovrebbe suicidarsi».

Ma come ci vedono al Nord?

La realtà, agli occhi dei nostri confratelli non siculi, che ci piaccia o meno è questa: altissima evasione fiscale, spropositato numero di seggiole rosse, una regione con 5 milioni di abitanti e 17.995 dipendenti a fronte di una Lombardia con 10 milioni di abitanti e 3.084 dipendenti (questi i dati pubblicati, venerdì 20 luglio, su “il Giornale”) e, diciamolo pure, mafia. Ma avranno torto?

Dopo Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Piemontesi, beffa garibaldina, la Mafia ha saldato le sue radici nella nostra fertile terra di Sicilia ed ha anche partorito un figlio invadente e nauseabondo: l’atteggiamento mafioso.

É stato facile parlare, in un passato recente, di gabbie salariali, di federalismo per chi non ha vissuto tra le luci e le ombre dei vicoli Siciliani, per chi non conosce la nostra storia, cultura e i nostri “topos neri”, : lavoro nero, pizzo da pagare, incapacità gestionale, false promesse, servizi deludenti e altro ancora.

La verità è che il Siciliano non sente lo stato come dovrebbe, lo vede come approfittatore, sanguisuga delle piccole e sudate conquiste personali, e chissà forse dal tempo delle false promesse e delusioni garibaldine.

Alla base di tutto c’è sempre un fatto culturale che bene viene esplicato nella traduzione del proverbio siciliano: “quello che il padre dà al figlio, lo leva lo Stato”.

I Siciliani meritano una politica più presente sul territorio, trasparente e candida per risanare le delusioni generazionali che covano nel sostrato della memoria psicologica.

Non ho usato a caso l’aggettivo “candido” , che ricorda la parola “candidato”. Infatti deriva dal latino e designava la toga bianca, simbolo di onestà e purezza, che i concorrenti per una carica statale indossavano in pubblico per farsi riconoscere.

I Siciliani, gli Italiani, stanchi di recarsi al teatro per la solita tragicommedia, hanno bisogno di “candidati alla latina”, gente onesta ed umile, indirizzata solo al bene comune.

 

 

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