Volano gli stracci fra la Diocesi di Ragusa e l’Asp: e continuano a cantarsele a distanza

La notizia del coro ragusano focolaio di contagio, continua ancora oggi a suscitare polemiche ed è stata, per così dire, pietra dello scandalo fra l’Asp e la Diocesi di Ragusa. Il manager dell’Asp, Angelo Aliquò, con la franchezza che generalmente lo caratterizza (e anche una certa dose di caustica ironia), non ha certamente aspettato di mandarle a dire alla chiesa ragusana e con un post pubblicato sul suo profilo facebook, poi ripreso da tutti i giornali, ha parlato del caso del “Corovirus – la variante degli sprovveduti”.

La notizia si è diffusa a macchia d’olio in tutta la provincia e, Aliquò non ha esitato a definirli “fenomeni”, nonostante si auguri che tutto finisca bene e che nessuno possa incorrere in pericolo di vita.
Da qui, sono nate attente riflessioni: è proprio necessario il coro in chiesa? Se ne potrebbe anche fare a meno, tutto sommato. In Chiesa, a seconda della grandezza della parrocchia, possono animare la messa un certo numero di coristi, tutti abbastanza distanziati, anche se ovviamente non possono portare la mascherina quando cantano. Tuttavia, non è facile dimostrare che i coristi possano essersi contagiati in chiesa: potrebbero averlo fatto, ad esempio, durante le prove anche se comunque il senso della questione resta sempre lo stesso, e cioè, per quale motivo è così necessario il coro in questo periodo.

Dopo qualche giorno di silenzio, pensavamo che la questione fosse finita così, nel dimenticatoio, così come molte altre. In realtà, dalle pagine del giornale “Insieme”, il giornale edito dalla Diocesi di Ragusa, i vertici della Diocesi rispondono ad Aliquò parlando di “stupore” e “sorpresa” per quelle parole.

“Hanno suscitato stupore e sorpresa, all’interno della comunità ecclesiale, le parole che il direttore dell’Asp di Ragusa ha affidato a un post su un social media. Un post nel quale si rivolge ai componenti della nostra realtà ecclesiale utilizzando termini come «sprovveduti» o «fenomeni», per riferire a tutti che alcuni componenti di un coro erano rimasti contagiati dal virus.
La sorpresa ha riguardato la forma, i contenuti e i toni, ma anche lo stile, non corrispondente a quello che si era sempre apprezzato nel direttore generale.
Chi sarebbero questi «sprovveduti», questi «fenomeni»?
Sono i componenti di un coro parrocchiale, che non ha preso parte alle celebrazioni pasquali e della Settimana Santa perché, al primo esito positivo di un tampone, tutta la corale si è posta subito in quarantena: è questo un agire da «sprovveduti», o da «fenomeni», o un comportamento che denota mancanza di senso civico e responsabilità?
Senza voler alimentare polemiche – che non giovano a nessuno – la stessa corale e lo stesso parroco hanno dimostrato, come giorni dopo si è chiesto con un sarcasmo forse eccessivo il direttore generale, che sì, si «può fare a meno di un coro». E se ne è fatto realmente a meno, perché quel coro non ha animato alcuna celebrazione dal momento in cui si è verificato il primo caso di positività. A questo va aggiunto che, per tanti mesi, le celebrazioni liturgiche hanno avuto luogo in chiese vuote, senza fedeli e senza – ovviamente – l’accompagnamento del coro. Se si può fare a meno del coro, forse si potrebbe anche fare a meno delle ironie sul «coronavirus».

In meno di 24 ore dalla diffusione dell’articolo, il manager Aliquò risponde sempre sulla propria bacheca facebook alla Diocesi: “Leggo polemiche su un post da me pubblicato sulla mia personale pagina Facebook (la mia non certamente quella dell’ASP, visto il tono ironico e non certo istituzionale del post stesso!).
Le polemiche proverebbero da un esponente della Curia, al quale rispettosamente faccio notare di non avere fatto alcun riferimento né alla città dove il coro ha sede, né tantomeno al fatto che sia il coro di una Chiesa. Spiace che qualcuno sia risentito e spiego meglio il concetto: Non condivido in questo momento di emergenza gli assembramenti di persone che non indossano la mascherina e magari mangiano o cantano “in maniera corale”. Chi lo fa, è nel migliore dei casi uno sprovveduto”.

Insomma, rincara la dose. Pur dichiarando entrambe le parti che nessuno vuole fare polemica e che le polemiche non giovano a nessuno, le polemiche alla fine sono arrivate. Nella nostra esperienza diretta abbiamo potuto notare come in chiesa, nella maggior parte dei casi, si rispettino severamente i protocolli anti covid: posti distanziati, sanificazioni, un certo numero di persone ammesse all’interno e via dicendo. Di questo, gliene dobbiamo dare atto.

Ma naturalmente, esistono eccezioni, e ci sono stati tanti errori, dovuti certamente alla natura umana di tutti. Quello che vogliamo sottolineare è che la chiesa non è immune dal contagio e forse potrebbe prendersi in considerazione l’idea di ridurre al minimo le attività considerare non necessarie come ad esempio l’animazione della messa con il coro.

Il manager Aliquò ha tenuto a precisare che lui si è espresso come un semplice cittadino, e infatti i contenuti del suo intervento sono stati postati sulla sua pagina facebook personale e non su quella dell’Asp di Ragusa. Vero. Ma lui, non è un semplice cittadino, non è una persona qualunque e non può non sapere che ogni cosa che scrive, riguardante soprattutto la pandemia, non abbia un peso.
Non è stata una bella figura né dalla parte della Diocesi, che dà l’impressione di voler minimizzare la questione, né dalla parte dell’Asp, che dovrebbe porre più attenzione alle dichiarazioni che fa pubblicamente, anche se in pagine private, pur comprendendo la doverosa preoccupazione per l’aumento dei contagi che si sta verificando in questi ultimi giorni in provincia.
Ci auguriamo che questo momento venga superato perché le polemiche, dopo tre giorni, annoiano.

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