VITA DELLO STAREC ISIDORO

Ho letto con gusto la storia di un monaco ortodosso russo del XIX secolo: lo starec Isidoro. Un personaggio che colpisce per il suo senso della libertà, per la sua vita, spirituale e fisica, pienamente realizzata. La propongo anche a voi.

Starec in russo sta per vegliardo, anziano, un  monaco particolarmente venerato per la sua saggezza e carisma, e quindi divenuto guida spirituale all’interno e nei dintorni di una comunità monastica.

Lo starec Isidoro nacque nel villaggio di Lyskovo e venne battezzato col nome di Giovanni, i suoi genitori, Andrej e Paraskeva Kozin, erano servi della gleba addetti ai servizi domestici presso il principe Gruzinskij. In seguito egli si fece chiamare sia Kozin, ma più spesso Grozinskij; non si conosce con certezza la sua data di nascita, ma da quello che raccontava dovrebbe essere stato l’anno 1814.

Ebbe una infanzia e una giovinezza molto difficile. Con la sua famiglia condivise povertà, salute cagionevole, trascuratezza e disprezzo, ingiurie e persecuzioni, ma non lasciò che tutto questo lo ‘amareggiasse’, e seppe mantenere serenità, gioia e senso di pienezza della vita, perchè sempre sostenuto da una gran fede.

Il suo sogno era quello di entrare in uno dei monateri del Monte Athos. Ci riusci, ma ci rimase solo un anno, e poi fu allontanato, perché era povero e non aveva denaro.

Diventò ieromanaco (monaco sacerdote) nel monastero di San Sergio nei pressi di Mosca: il più importante centro spirituale ortodosso russo, e lì visse fino alla morte.

Oltre alle grandi costruzioni centrali, il monastero era contornato da minuscole isbe (ovvero caratteristiche costruzioni russe, fatte di tronchi d’albero): in una di queste, di minime dimensioni,  viveva lo starec Isidoro.

Nella sua isbà padre Isidoro accoglieva tutti e a tutti dava un dono, ancorché fossero cose semplicissime (era povero, perché ridistribuiva tutto quello che riceveva). Non stava a scegliere gli ospiti, e tutti se ne andavano consolati e mai a mani vuote. Sapeva ascoltare e non giudicava mai. Aveva un modo tutto suo di trattare le visite. Pur attenendosi severamente alle regole monastiche, le disattendeva spesso. Non per capriccio o superbia, ma perché semplicemente lo riteneva giusto, a suo modo di vedere. Un esempio per tutto: capitava che fosse giorno di digiuno grande e fosse ospite di qualcuno e che questi offrisse il pranzo. Lui senza preoccuparsi si metteva a tavola e mangiava di tutto: per non offendere l’ospite.

Era un uomo felice, sapeva godere delle piccole cose, le piante e la natura che lo circondava. Ma passava lunghissimi tempi in silenzio di contemplazione, leggeva la Parola di Dio, studiava i Santi Padri, guardava con tenerezza le sue Icone: pregava sempre.

La sua casetta era circondata da una palizzata e nello spazio aveva creato dei mobili molto grezzi su cui sedersi a meditare, e dove invitava gli ospiti, anche di riguardo, che venivano a trovarlo: qui lui trattava tutti con la stessa disponibilità, senza distinzioni. Vicino c’era anche un boschetto di salici; in vecchi barattoli metteva piccoli fiori e piante che poneva sul davanzale. Coltivava anche cipolle, per esempio, ma poi lasciava crescere anche ortiche ed erbacce, che chiunque avrebbe estirpato dal proprio giardino, ma lui no, lui le teneva in considerazione. San Francesco di Assisi voleva che i suoi frati in un angolo dell’orto lasciassero un po’ di spazio perchè le erbe crescessero in libertà: “Anche loro danno gloria al buon Dio”. Questo giardinetto, più o meno coltivato, era il suo eremo, dove il batijuŝka, (babbino)- come veniva affettuosamente chiamato – si ritirava a meditare.

Come dicevo, trattava tutti con amorevolezza, anche le creature ‘minori’. – “Batijuŝka, non vi danno fastidio i topi?”. “No, io do loro da mangiare, là vicino alla tana, pranzo e cena e loro se ne stanno tranquilli. Prima correvano dappertutto, ma  adesso non più. No,  non mi danno fastidio.”

Isidoro era uno spirito libero e indipendente, pieno di mitezza, perdono e comprensione. Non condannava nessuno e non si adirava con nessuno, sopportava tutti. Se pensava che qualcuno fosse irritato o offeso con lui, subito chiedeva  scusa, anche se non aveva fatto nulla di che farsi perdonare. E se qualcuno lo insultava, e, malgrado i suoi sforzi, chi lo stava offendendo, non si calmava, lasciava perdere in attesa di un momento più propizio. Come Padre spirituale invitava anche gli altri a seguire il suo esempio.

La porta della sua casuccia mai era chiusa. Fu anche aggredito, perché volevano rapinarlo e derubarlo, ma non si scompose e continuó sempre uguale a sé stesso.

Molti affermati teologhi, che andavano da lui perché ne sentivano parlare, pensavano all’inizio che fosse un sempliciotto, ma trovavano ben altro: i concetti teologici che li facevano sentire ‘pieni di sapere’ erano ben poca cosa in comparazione alla teologia fatta vita del vecchio Isidoro, della sua spiritualità tanto umana e della libertà profonda con cui viveva il vangelo.

Tantissimi andavano da lui a farsi confessare. Tutti se ne andavano via consolati.

Quando stava per morire, ormai ultranovantenne, allontanò da sé il novizio che lo vegliava. Voleva essere da solo nel trapasso. “Spegni il lume e va a  dormire o a leggere un libro”, gli disse

Era convinto che quando si muore bisogna concentrarsi completamente, raccogliersi in sé stessi e restare in solitudine con Dio. È il momento della totale intimitá con la vita, perché il morire è incontro con il santo Mistero, il momento della massima libertà nell’affidarsi fiduciosi, particolarmente felice quando significa incontro con il Mistero amato, con la Veritá del cuore.

Lo Starec Isidoro spirò il 4 febbraio del 1908.

Pavel A. Florenskij che lo conobbe, e lo ebbe come padre spirituale cinque anni, ai tempi dell’Accademia Teologica, ne scrisse subito la sua vita, con il tipico stile agiografico, fatto di semplicitá, di brevitá e di veritá. Per chi fosse interessato, il titolo dell’operetta è: Il sale della terra.

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