UN CAFFÈ CON ANDREA TIDONA

«Sono andato via, tanti anni fa, ma ora ho una casa in Sicilia, nelle campagne di Modica, perché sento di appartenere  a questa terra, qui sono le mie  radici, così come l’amore per mia mamma.Infatti spesso sono qui. In fin dei conti il mio sogno l’ho già realizzato, ovvero fare della mia passione, il mio lavoro e va benissimo così”. Non capita tutti i giorni di incontrare, a Modica, un attore italiano famoso: Andrea Tidona.

Invece mi è successo. E’ stato un incontro molto alla mano, lui, che per me è sempre stato uno degli attori di teatro, ma anche del cinema impegnato, tra i miei preferiti. Mi ha permesso di intervistarlo, dopo che ero riuscita a raggiungerlo telefonicamente.

Ultimamente Andrea, spesso sul piccolo schermo, con la fiction “Le mani dentro la città”, sta riscuotendo molto successo, ma nonostante la sua bravura riesce a mantenere una semplicità di fondo. L’amico della porta accanto. Mi ha colpito di lui, dopo avere letto tanto dei suoi successi non solo teatrali, ma anche di film, il suo lavoro come doppiatore. Un doppiaggio quello del personaggio di nonno  Kuzia (John Malkovich) nel film, bellissimo: “Educazione siberiana”.     

 “Sin da bambino, già all’età di 8 anni, ero attratto dal mondo del teatro e dello spettacolo; infatti mi travestivo e guardandomi allo specchio interpretavo le mie parti. Uno volta facevo il re, una volta lo schiavo, così mi calavo nel personaggio. Nel 1971 sono partito per Milano, Modica mi stava stretta ed avevo voglia di andare lontano: Milano mi sembrava il posto più consono alle mie aspettative, ai miei sogni. Il Politecnico poteva essere  l’opportunità per guardare molto più in là, verso un altro orizzonte. Ma così non fu.  Andrea lasciò gli studi ed iniziò la sua avventura nel mondo del teatro. “Ho sostenuto gli esami in Accademia, mi hanno ammesso e da allora non ho mai smesso. Passione, oppure incoscienza, follia? Forse tutto ciò”.

Si è diplomato  all’Accademia dei Filodrammatici di Milano nel 1976 debuttando con ‘Tre quarti di luna’ di Luigi Squarzina.

Gli chiedo è stata solo bravura o, anche un po’ di fortuna? “Certamente, una componente di fortuna mi è stata di grande aiuto. Dopo quel fortunato debutto sarei dovuto partire militare nella Marina Militare, ma una fortissima tonsillite mi risparmiò quel “dovere di stato” che mi avrebbe allontanato per troppo tempo dal teatro.”

Così è iniziata la carriera di Andrea Tidona, scritturato dal Piccolo Teatro di Milano, lavora prima come attore e aiuto regista con Giorgio Strehler e successivamente con Glauco Mauri che ritiene siano stati i suoi maestri, ma un caro ricordo va anche ad Ernesto Calindri, anch’egli del Piccolo Teatro di Milano. Lo ricorda perché gli ha insegnato che anche nel mestiere dell’attore, così come in tutti gli altri “mestieri”, è fondamentale la variabile fortuna.

“Fare l’attore è sicuramente un mestiere complicato ecco perché si ha bisogno anche della fortuna. Ha avuto un’ottima occasione con il film “I Cento Passi” – (anno 2000) di Marco Tullio Giordana, dove interpretava Stefano Venuti, pittore politicamente schierato, che introduce, Peppino Impastato all’ambiente del Partito Comunista.   Poi, il grande successo con la “Meglio Gioventù” (2003), sempre di Marco Tullio Giordana, nel ruolo di Angelo Carati, il padre.  Un personaggio struggente, quello di Angelo Carati. Mi racconta di come fu impegnativo ottenere quella parte, tra l’altro accanto ad un’attrice   come Adriana Asti. “Ricordo era un venerdì, riuscì a farmi dare il copione e studiai tutto il fine settimana la parte. Il lunedì, la prova, andò meravigliosamente bene e Marco si convinse che quel personaggio doveva essere il mio”.     Infatti, nel 2004 gli valse il premio “Nastro d’argento” come migliore attore protagonista, assieme ad Alessio Boni, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio.

Tantissime fiction televisive, recentemente nella fortunata serie: “Le mani dentro la città”, dove interpreta la parte del boss Mafioso Carmine Marruso. Ma lo ricordiamo anche nel ruolo del dott. Alfredi, un personaggio semplice, lineare, una persona anziana che non è più in grado di operare e non potendo farlo si dedica allo studio. Un riferimento per i ragazzini.

“Sono un attore, perciò amo tutti i ruoli: se così non fosse diventerebbe un lavoro noioso. Per quanto riguarda le forme espressive, un tempo avrei detto senz’altro il teatro, oggi che ho avuto occasione di lavorare al cinema ad alti livelli, direi che non c’è differenza.”

Mentre siamo seduti al caffè, timidamente, si avvicina una ragazza e gli chiede un autografo, lui con un fare accattivante risponde subito di si. In quel mentre arrivano anche le altre amiche che gli chiedono una foto di gruppo, Andrea è ben lieto di posare con loro.

Gli chiedo pensi che i giovani vanno avviati al teatro?

“Certamente la scuola, sin dalle elementari, dovrebbe dedicare degli spazi per realizzare vere e proprie compagnie. Il teatro è una scuola di vita. Mi piace molto incontrare i giovani, infatti vado spesso nelle scuole, e parlare con loro dell’importanza del teatro, un luogo dove i ruoli sono chiari, senza possibilità di barare, anche se c’è chi riesce a farlo lo stesso. Non c’è dubbio   che il   teatro potrebbe avere una funzione culturale, letteraria e ludica; ma anche educativa, formativa e civile. Poi, come diceva Vittorio Gassman, “Il teatro è terapeutico”. Quindi salire sul palco e recitare sarebbe un’ottima occasione per i bambini per poter socializzare e superare i complessi.”

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it