SALVY D’ALBERGO.

 

Un ricordo, fra i tanti, si staglia nettissimo, un ricordo visivo e uditivo insieme.

Eravamo nell’Auditorium della Camera di Commercio per un recital di poesie. Venne annunziato un componimento poetico  di Mariannina Coffa, “poetessa ragusana”, a detta della distratta presentatrice.

Si levò alta nel silenzio della sala la bella voce di Salvy:

“ Mariannina Coffa era notinese !”

Questa era Salvy. Non sopportava l’approssimazione. Non tollerava gli errori degli orecchianti. Non rinunciava all’ espressione dotta. Non disse, infatti, “era netina”. Il linguaggio colto in lei non era un vezzo ma l’espressione spontanea di una cultura di alto livello.

Inoltre definire “ragusana” una notinese come lei era per Salvy un errore che non poteva essere passato sotto silenzio, neppure nell’atmosfera sospesa di un recital.

Salvy era anche una persona capace di autoironia. Ricordo quanto abbiamo riso con lei il giorno in cui entrò nella sala dei professori, reduce dalla revisione dei compiti in classe, raccontandoci che in parecchi elaborati aveva trovato degli “anacoluti” e li aveva segnati con la matita blu. Poi, dopo aver distribuito i compiti agli alunni, aveva chiesto che tutti quelli che trovavano nel loro elaborato un anacoluto si avvicinassero alla cattedra, e aveva stentato a capacitarsi che i ragazzi non sapevano proprio come cercare questa strana bestia !

 

Salvatrice Lucia D’Albergo nacque a Noto il 15 Novembre 1929 dalla professoressa Rosa Stajano e dall’Avvocato Raffaele D’Albergo.

Il Padre morì a soli 33 anni, pochi giorni prima che lei compisse il primo anno di vita.

Questo evento segnò profondamente la sua esistenza, come Lei stessa scrive:

“Di mio padre non ho alcun ricordo, come se non fosse mai stato, l’unica certezza è che io sono.

Al suo posto ?

 Da sempre ho avvertito un legame saldo ed uno scambio di percezioni sensibili  e paranormali quasi che attraverso di Lui io scrutassi oltre il reale e Lui in me.

 E questa certezza mi ha accompagnato per tutta la vita ,  nelle mie scelte, nel gusto, nei sapori  nei colori ,  nel piacere di vivere e  nella tetraggine della solitudine , nei luoghi dove Lui era stato , quasi da me ritrovati, senza turbamento.

 L’ho amato e cercato nel volto degli altri uomini,  nel passo che si accompagna  ai bimbi non orfani ,  che ho osservato con l’occhio maturo  di chi ne è privato, con invidia…”

Il legame instaurato con la madre è testimoniato  da questo scritto:

“Tra le tue braccia ,mamma, rannicchiata tra tue braccia, ascoltavo la sera ,  mentre ti dondolavi sulla sedia,  scandire il ritmo delle ninne nanne siciliane con la tua voce melodiosa.

E’ stato il nostro, madre , un rapporto d’amore saldo e unico  poiché io ero tutta tua e tu, malgrado io fossi la terzogenita , tutta mia.

Crescendo si è maturato un dialogo aperto  quasi avessi composto una mia nuova identità più simile a te.”

Salvy trascorse l’infanzia a Noto, dove frequentò la scuola elementare, ma ben presto la sua famiglia si trasferì nella provincia di Ragusa, a causa del lavoro della madre, docente e successivamente preside nelle scuole medie.

A Modica frequentò le medie e il Liceo Classico “Tommaso Campailla”. Allieva brillante, conseguì la licenza liceale a pieni voti nel Luglio del 1948.

Si iscrisse in Lettere Moderne all’Università di Palermo e  nel 1953 si laureò con il massimo di voti e la lode , discutendo una tesi di laurea su “Pietro Giannone, storico”, relatore l’illustre studioso Paolo Alatri.

Cominciò giovanissima  la sua attività di insegnante nella provincia di Ragusa e infine nel Capoluogo. Si faceva ammirare ed amare dai suoi allievi che ne ricordano ancora le doti umane e la ricchezza della cultura. Il suo impegno non restava limitato all’ambito scolastico, ma si rivolgeva alla Cultura, al Teatro, ai problemi sociali, alla condizione femminile.

Nel 1962 fece parte del gruppo di socie fondatrici del Soroptimist Club di Ragusa, secondo in Sicilia dopo quello di Palermo.

Nel 1967 fondava a Ragusa il Club Giovanile “ Venture” e promuoveva importanti iniziative culturali e sociali.”

Nel 1965 ,dopo aver insegnato nella scuola media di Comiso e nella G. Pascoli di Ragusa, diventava titolare della Cattedra di Italiano e Storia  nell’Istituto Tecnico Commerciale “Fabio Besta” di Ragusa, in un momento in cui questa scuola si avviava a diventare un considerevole punto di riferimento per la realtà cittadina.

Proprio al “Fabio Besta” conobbi Salvy ,agli inizi della mia attività di insegnante .

Ero timida ed inesperiente. Come molti neo laureati della mia generazione conoscevo la realtà solo attraverso i libri.

Catania, l’unica città che conoscevo, per me aveva significato solo lezioni ed esami, raramente qualche film di prima visione.

Salvy al “Fabio Besta” era una presenza fortemente incisiva . I suoi interventi si distinguevano per il calore, le appassionate prese di posizione e lo spessore della sua cultura. Di questa mi colpiva la novità, il non avere nulla a che vedere col tanfo di rinchiuso delle biblioteche e delle aule scolastiche di allora.

La sua era una cultura militante, parlava del nostro tempo, del nostro ambiente, di intellettuali viventi, con i quali si poteva dialogare .

Assieme ad altri colleghi in quel lontano anno scolastico 1967-68, cominciammo a fare scuola in modo nuovo: filodrammatiche, tavole rotonde, incontri pomeridiani con gli alunni per dibattere tematiche di attualità. Trascinati solo dal nostro entusiasmo, considerati con un certo fastidio dai colleghi più tradizionalisti, ci ritrovammo uniti dal desiderio di cambiare un realtà che, da studenti, ci aveva lasciato insoddisfatti .

La nostra contestazione non si alimentava a quella globale che si stava scatenando a Parigi e a Milano , ma veniva dal nostro vissuto e voleva costruire, non distruggere .

Salvy non era di sinistra. La sua posizione, che oggi nessuno contesterebbe, allora era scomoda, fuori dal coro.
Non tollerava, soprattutto, l’interferenza della Politica, nella sua peggiore accezione, con la Scuola e la Cultura.

Indubbiamente aveva di entrambe una concezione aristocratica, nel senso che non accettava che esse scendessero a compromessi con le pressioni della piazza e i gusti correnti.

Il suo lavoro di docente, infatti, consisteva nel cercare di elevare gli allievi al suo livello, non di scendere demagogicamente al loro.

Gli allievi più sensibili l’hanno compresa e  seguita.

Qualche esempio, fra i tanti, significativo in questo senso.

Alcuni suoi allievi portarono sulle scene “La cantatrice calva” di Jonesco, recitando molto bene.

Credo di poter dire che,grazie a Salvy, Gianni Battaglia, regista e autore di testi teatrali, ha scoperto la sua vera vocazione, che non era certo quella di ragioniere.

Quello che mi colpì in Salvy fu il suo trattarmi da pari a pari , senza l’involontaria benevola condiscendenza, che si ha nei confronti dei colleghi alle prime armi.

La nostra frequentazione non si limitò alle occasioni offerte dalla Scuola ma sfociò in un’esperienza di grande rilievo: la fondazione e l’avvio dell’attività del Teatro Club , nell’inverno 1968-69.

Quell’esperienza, per me, fu esaltante e coinvolgente. Scoprivo per la prima volta un mondo, quello del Teatro, che conoscevo solo attraverso la mediazione televisiva, assistevo ai primi concerti della mia vita, gustavo la poesia recitata.

Ma questo accadde a tante altre persone.

Scrive Carmelo Arezzo, Presidente dell’Associazione Teatro Club “Salvy D’Albergo”, nel libretto pubblicato in occasione del trentennale della fondazione:

Accarezzavano probabilmente un sogno quei trentasei professionisti ed intellettuali che trent’anni fa, nel Marzo del 1969 ,si erano inventati un’associazione culturale, nel panorama ovattato, tra il borghese e il banale, di una piccola città di provincia ,con il dichiarato intento di innovare il panorama locale con proposte teatrali, con il recupero della Letteratura , dell’Arte, dello Spettacolo, con la voglia precisa e coinvolgente di collegare la Città alla Scuola…E a guidare questo manipolo di coraggiosi anticonformisti….c’era una donna che all’impegno nella Scuola affiancava l’entusiasmo sincero per tutto ciò che avesse il sapore della Cultura, il fascino della Poesia, la magia della creatività……..

 Sì una vera battaglia fu quella intrapresa da Salvy sin dalla proposta culturale presentata all’inaugurazione dell’anno sociale 1969 :

“…..quasi con un atto di fede e di coraggio, noi vogliamo rimuovere l’energia culturale della nostra provincia, rompere il vivere egoisticamente ripiegato e vittimistico  in un’azione concreta e sociale che si opponga e vinca la TEMIBILE OPERAZIONE DI RIGETTO dei nostri ambienti siciliani, nei confronti dei loro figli più arguti quasi tessuti estranei a un contesto sociale che non vuole guarire”

….una battaglia contro il totale disinteresse della classe politica, di alcuni intellettuali i quali mal tolleravano che fosse una donna e per giunta “forestiera” a togliere loro il ruolo di protagonisti nel panorama culturale cittadino, una battaglia contro l’inesistenza, in una città che si considerava moderna e avanzata, di strutture pubbliche per fare teatro, musica., conferenze, una battaglia contro chi voleva sì il teatro, ma solo quello leggero, che fa sorridere o addirittura ridere, e regala ore di svago a chi ha già troppi pensieri.

E poi la ricerca spasmodica di locali, le trasferte a Modica, Vittoria, Scicli., la negazione dell’agibilità, che  rischiava di mandare all’aria uno spettacolo già organizzato. Persino la morale veniva tirata in ballo per impedire la realizzazione di spettacoli teatrali in un’epoca in cui nei cinema si era toccato il fondo, quanto a disinibizione nella programmazione delle pellicole!.

 “Si succedono con ritmo incalzante iniziative culturali di vario tipo, tutte di altissimo livello: recital di poesie, conversazioni, concerti, balletti, conferenze, spettacoli teatrali di diverse compagnie di Catania, Messina, Roma, Siracusa, Napoli, Prato, Palermo, Genova.”

Memorabile il 23 Marzo del 1971 il dibattito sul tema “Potrà esserci il Teatro a Ragusa?” , patrocinato dal Teatro Club e dal Soroptimist Club.

Alla presenza del Sindaco Di Natale, i proprietari delle sale cinematografiche della città Comm. La Licata e Comm. Marino, si pronunciano, scambiandosi qualche accusa, sulle possibilità concrete di realizzare una struttura adatta alle rappresentazioni teatrali.

Sono trascorsi più di 40 anni, e ancora si parla di restituire alla cittadinanza ragusana l’antico Teatro Concordia, che sino agli anni Cinquanta ospitò compagnie di Lirica, Operetta, Prosa, e che prima di venire chiuso , è stato anche per diversi anni un cinema a luci rosse!

Nel 25° della fondazione, il Presidente Prof. Raimondo Barone, altra grande figura di intellettuale scomparso nel 1998,   ripercorreva la storia del sodalizio sottolineando l’importanza della nascita in seno ad essa di una compagnia di teatro amatoriale .

Salvy continuava per ben diciassette anni con tenacia la sua azione di promotrice culturale, nonostante i problemi di salute, la mancanza di sovvenzioni, le notevoli difficoltà economiche.

Scompare il 15 Settembre del 1986.

L’animo più profondo di Salvy, il suo mondo interiore, li abbiamo in piccola parte conosciuti solo quando abbiamo potuto leggere la raccolta di poesie  “ Racemi”, uscita nel 1996 a cura dalla sorella Maria.

E’ una breve dolcissima silloge che l’Autrice aveva composto per se stessa e dalla quale emergono le lacrime

 

“Udremo un pianto

amaro e grigio

alto levarsi: il nostro…

Ed il salso delle

lagrime

sulle labbra avremo “(Pianto dei venti anni)

 

le delusioni d’amore

 

Cenere ho gettato

sul fuoco del mio amore,

e tutto si è ammantato

di quel plumbeo

grigiore.

…………….

Spazzar via la cenere

non posso, perché ho

paura della rossa

calura.” ( Cenere)

 

 un profondo senso religioso

 

“Cammino …

sul filo della speranza ,

un tenue filo d’equilibrista,

solo con la tua mano

potrò sorreggermi, o mio

Signore e proseguire.” (Fede )

l’amore per la terra natia

 

“Nella sera fonda

appare

la Cattedrale d’oro

tra alberi in fuga .

 

Ho il volto distorto

a cogliere il saluto

della mia terra. “ (Alla Cattedrale di Noto)

 

Salvy non è vissuta tanto da vedere lo scempio di questa Cattedrale d’oro, che è uno dei simboli più famosi dell’Arte e della Cultura di quel Val di Noto, di cui  Lei era una grande figlia.

 

Laura Barone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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