QUARTA TAPPA ATTRAVERSO LA VITICOLTURA LIGURE

Subito a ovest della DOC Colline di Levanto, si entra nel territorio della provincia di Genova, dove è presente la DOC Golfo del Tigullio. Questa ha una estensione molto ampia. Simile a un triangolo scaleno, possono essere presi come punti per la formazione di questo ipotetico triangolo i comuni di Genova, Moneglia e Borzonasca.

La zona di produzione della DOC comprende ben 33 comuni e parte di altri tre, tutti in provincia di Genova. Essendo una DOC a così ampia estensione, il suo disciplinare presenta una vasta, forse troppo, gamma di vini. Si producono, infatti, vini bianchi, dolci, passiti, spumanti, frizzanti, rossi, rosati e novelli.

Iniziamo dai vini rossi. Qui, la presenza del ciliegiolo aumenta rispetto alle DOC precedentemente viste, al punto che il disciplinare della DOC Golfo del Tigullio prevede oltre alla tipologia Rosso, un taglio tra diversi vitigni, anche la tipologia Ciliegiolo, che deve contare almeno un 85% di uva ciliegiolo. Una percentuale molto elevata, per un vitigno in genere destinato a partecipare in quantità limitate ai tagli con altre uve, per apportare soltanto morbidezza.

Proprio la sua morbidezza è stato il motivo per cui è lo storico compagno del sangiovese per la produzione del vino Chianti. La sua presenza quasi in purezza non è molto comune nei vini cosiddetti di qualità. In genere quest’uva si trova in purezza in versioni sfuse destinate a un consumo locale. Il motivo di ciò è dovuto al fatto che il ciliegiolo sì possiede una buona componente di morbidezza, ma ha anche poca acidità e tannino poco percettibile. Queste caratteristiche limitano notevolmente la possibilità di una qualsiasi maturazione. I vini in questione, infatti, vanno consumati entro i due anni. Olfattivamente parlando, il ciliegiolo possiede un’attraente componente fruttata, ma il suo ventaglio olfattivo non va oltre. Sono quindi vini di pronta beva, gradevoli, ma difficilmente si possono diffondere oltre i confini regionali.

La produzione della DOC Golfo del Tigullio, però, si concentra soprattutto nei vini bianchi, per lo più prodotti a partire da tagli di vermentino e bianchetta, che possono essere prodotti anche in versione frizzante e spumante. Nel disciplinare c’è anche spazio per la produzione del Passito, ottenuto dalle stesse uve con cui si producono i vini bianchi.

Un fatto curioso è la presenza del moscato bianco. Non tanto per il  vitigno in sé, ma perché la sua coltivazione è solo consentita in una piccola porzione del territorio dell’Alta Valle Petronio. Secondo i produttori, questo vitigno è lì coltivato dal molti secoli; sembrerebbe attestata la sua presenza già nel 1600. Il disciplinare prevede che questo vitigno possa essere lavorato in due modi: un vino dolce di grado alcolico contenuto massimo 7% di alcol, e una versione Moscato Passito con almeno 11% di alcol svolto più 4,5 di residuo zuccherino.

DOC come questa, con ampli margini di libertà per il produttore, in genere sono ancora alla ricerca della strada migliore da seguire. Si permette di produrre di tutto in modo da trovare i risultati migliori e successivamente concentrarsi su queste tipologie. Se questi risultati sono particolarmente buoni, succede, in genere, che da una DOC nasca una nuova DOC, di solito più piccola come estensione territoriale, che si concentra solo sulla tipologia ritenuta migliore.

Il Golfo del Tigullio è, però, ancora alla ricerca di risultati capaci di contraddistinguersi e resta tutt’oggi una DOC molto confusionaria.

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