PROFONDE CO-INCIDENZE

Quando un ambiente risuona di interiorità ci si addentra nei meandri criptici della psiche umana, dilaniata dai turbamenti, dalla ricerca di risposte, dall’andamento di un viaggio doloroso, dalla sfuggente forma di un cambiamento che muta, dalle tracce visibilmente scomparse.

La mostra a Palazzo De Leva, Modica, riesce in tutto questo, trasforma un momento d’osservazione in catarsi, spinge fino in fondo all’inquietudine e alla ricerca ascetica.

Giacomo Luziani, con la sua opera, compie un’indagine scientifica-artistica, basata sul rapporto del corpo con il mondo circostante; raffigura un processo di trasformazione cellulare, in cui rende lo sguardo parte attiva del suo drammatico sviluppo: l’ingrandimento oggettivo permette di penetrare nell’evoluzione soggettiva dell’essere, e il corpo ne è il punto nevralgico per evidenziare la fragilità umana; si prende coscienza di come la mente è in grado di trasformare la perdita in genialità d’artista, e il fisico non diventa succube della malattia ma un mezzo per sondare in profondità l’impotenza umana. Lo stesso Luziani parla della volontà di Platone di costruire un sapere scientifico universale, caratterizzato da costrutti della mente, che ha portato alla svalutazione della corporeità e all’introduzione dell’anima. Successivamente Cartesio pone le basi per quello che prende il nome di corpo della medicina, visto come insieme di organi e nulla più; per il medico il corpo assume le sembianze di un agglomerato di cellule, senza tenere conto degli stimoli che può assorbire. Luziani punta l’attenzione microscopica verso un’intrinseca conoscenza, donando un frammento essenziale di vita reazionaria, racchiusa all’interno di barattoli da cucina, che diventano l’emblema della sopravvivenza.

Procedendo nella mostra si scopre, tramite Khadra Yusuf, una nuova concezione dell’immagine mediatica; i suoi “Billboard” diventano un segnale di provocazione verso una società superficiale e conformista, focalizzata più sull’apparire che sull’essere; tramite gli strappi, le pennellate e le montature crea una visione ribaltata del glamour, che si tinge di risvolti passionali, in cui la copertina non diventa il manifesto di vuoti sorrisi, ma di strafottenza e aggressività dell’essere.

Adriano Savà offre stimoli di riflessioni sull’esistenza, sull’effimera corporeità dell’essere, e sulla sua unicità, suggellata nelle fotografie a microscopio di insetti decomposti.

Elda Carbonaro, con le sue menadi, compie un viaggio metafisico, che sfocia nella sfuggente inafferrabilità e contraddizione della vita; le sue foto in movimento sinuoso riflettono le passioni, i sentimenti tormentati, sempre in continua lotta con sé stessi e con il mondo; ciò che prevale è un’impossibilità di autocontrollo, a favore di folli pulsioni, che rischiano in virtù della verità del sentire.

Giampaolo Viola, nelle sue immagini della casa di riposo, affronta il tema dell’isolamento, della vecchiaia come punto finale della tragedia umana; le rughe diventano solchi di tristezza, di rassegnazione al processo superiore dell’esistenza, che sfocia nella solitudine e nell’espulsione alla vita sociale.

Valentina Colella compie un lavoro interiore davvero straordinario. Nella sua opera il gessetto bianco crea un’osservazione attenta dei particolari, che aprono una finestra intima e privata della sua stanza, riempita di oggetti vissuti, di un letto sfatto, di un iPod appoggiato sulle lenzuola; spicca una schiena di donna il cui volto non è visibile, ma sulla quale traspare la malinconia e l’abbandono, il cambiamento imminente che la condurrà in nuovi ambienti, di cui disconosce l’andamento. La sequenza in stop motion offre la conferma di un vuoto esistenziale, che svuota lo spazio della sua aura, e tutto ciò che resta è solo informe silenzio.

Ettore Pinelli, nel suo studio sul ritratto di Dorian Gray, genera un turbamento imprevisto nell’osservatore; usa il volto di Dorian come interscambio emozionale, passando dallo stato malinconico a quello rabbioso, molto spesso trattenuto dall’apparenza del confronto sociale; le sue pennellate spogliano l’essere dalle maschere comportamentali, concedendo una visione realistica del sentire, rimarcando l’assenza di un freno d’espressione che ha reso schizofrenica l’umanità. Oscar Wilde nel suo Dorian compie il sortilegio diabolico dell’immortalità, che in Pinelli si trasforma invece in decadenza, in coscienza intrinseca del turbamento umano, in sofferenza sbattuta addosso dalla vita, in sogni che diventano illusioni, in reazioni che diventano ricerca di appagamento e di estasi. Tutto risorge dall’oscurità, in modo che la carne si riempia di luce, e l’anima si perda nel buio per trovare la forza di sostenere imprevedibili trasformazioni. Pinelli pone sul banco dei testimoni peccatore e peccato, condannando entrambi per insufficienza di prove salvifiche, ma assolvendo il loro coraggio di vivere pienamente e intensamente l’esistenza.

Emanuela Alfano spiega come (CO)Incidenze mette a confronto sette artisti, scelti per la capacità d’espressione, per la sensibilità, per il linguaggio personale con cui si avvicinano all’interscambio comunicativo pittorico e fotografico.

La realtà diventa promotrice di creazione artistica, prende le sembianze di argilla su cui modellare i contorni profondi dell’essere.

La trasgressione utilizza la materia come genesi interpretativa del visibile, in cui l’attenta riflessione etica si spinge oltre l’apparenza, e gli stimoli sensoriali si fanno trasportare dall’istinto.

L’opera artistica penetra le sue radici nell’essenziale, fa giungere al sublime e sdoppia l’oggettività in soggettività del vedere.

(CO)Incidenze è un processo embrionale dell’anima, che trova nel corpo la sua identità di rivelazione.

 

 

 

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