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NOVITÀ DALL’ETNA
24 Ott 2011 17:31
Mentre l’enologia siciliana è in pieno fervore per la DOC Sicilia, è stata approvato il nuovo disciplinare della DOC Etna.
Questa DOC risale al 1968 ed è rimasta invariata per oltre trenta anni. Una DOC quella dell’Etna che non ha avuto un’esistenza facile, nonostante sia stata una delle prime DOC in Sicilia. Effettivamente i vini etnei solo da poco più di dieci anni sono riusciti a entrare a pieno nelle cronache estere riguardanti il mondo del vino. Questi vini, apprezzati da Mario Soldati già negli anni Sessanta, non erano molto conosciuti fuori dall’Isola. All’estero, dopo un celebre passato alla fine dell’Ottocento, fino a dieci anni fa’ erano totalmente sconosciuti. Anche in Italia, però, non erano molto diffusi o per lo meno tenuti in conto. Basta sfogliare una vecchia edizione di qualche guida sui vini italiani, per vedere che lo spazio a essi dedicato era molto ridotto rispetto a quello che ricoprono oggi. E se in passato venivano premiati tra i vini siciliani solo pochi Marsala, che hanno lasciato il posto poi ai vari Chardonnay siciliani di nuova concezione e soprattutto al boom del Nero d’Avola, oggi l’Etna ha trovato un suo spazio che non accenna a diminuire. Anzi, il trend positivo dei vini etnei sembra avere ancora molta strada da fare. Le guide di vino, infatti, dedicano sempre più spazio alle aziende etnee, mentre il Marsala viene praticamente ignorato, non sempre a torto, rispetto al quantitativo prodotto. Nero d’Avola, vini etnei e qualche Super Sicilian (si intende con questo termine vari vini IGT Sicilia sparsi nel territorio di nuova concezione e spesso, ma non sempre, da vitigni internazionali) dominano l’attenzione dei media per la Sicilia enologica.
Ora, sebbene i vari Nero d’Avola e i Super Sicilian hanno un passato molto recente, i vini etnei hanno una tradizione molto antica. Come mai allora solo adesso si dà spazio a questi vini? In parte perché la zona è stata ignorata dagli specializzati del settore, visto che, come abbiamo già scritto, Soldati già negli anni Sessanta aveva colto la particolarità del vigneto etneo. Sarebbe ingiusto però gridare al complotto. C’è da riconoscere che molti produttori etnei, non tutti però, continuavano a vinificare con tecniche molto arretrate e concezioni decisamente antiquate. Si avevano così vini per lo più ossidati, fortemente disarmonici e dove era possibile riscontrare nel ventaglio olfattivo cattivi odori dettati dalla poca pulizia in cantina e dallo stato sanitario delle uve non proprio eccellente. Quello che però c’è sempre stato è l’impronta territoriale, quello che i francesi chiamano terroir. I vini etnei, nonostante i difetti che potessero avere, possedevano comunque una impronta olfattiva di matrice vulcanica che li rendeva unici. Proprio questa impronta territoriale, con in più le nuove accortezze in vigna, ma soprattutto in cantina, ha reso possibile il successo di questi vini, che solo l’Etna può dare. Esistono sicuramente vini migliori in Italia e nel mondo, ma non è questo il punto. Il punto è che solo i vini etnei possiedono quel caratteristico sentore territoriale che nessun altro terroir può donare ai vini. Se un territorio riesce a donare un carattere unico ai vini in esso prodotti, riesce a dare anche il vero valore di un vino.
Il disciplinare del 1968 non è assolutamente inadeguato e già per l’epoca era stato redatto proprio per favorire la tipicità del territorio Etna a partire dalle rese per ettaro decisamente basse per l’epoca. Infatti, il nuovo disciplinare ben poche modifiche apporta rispetto al vecchio: alcuni nomi di contrade in più da poter inserire in etichetta rispetto al passato (fattore che resta comunque facoltativo e che invece sarebbe bene mettere obbligatorio quando si tratta di vini provenienti da un vigneto inserito in una sola contrada), la tipologia Rosso Riserva, prima non prevista, per i vini rossi che invecchiano almeno quattro anni, di cui almeno uno in legno, prima di essere messi in commercio, ed infine, come ultima novità, la tipologia Spumante Bianco e Rosato, tutte e due da un minimo di 60% di uva rossa Nerello Mascalese e con permanenza sui lievi di almeno 18 mesi.
Probabilmente questo nuovo disciplinare non apporterà grandi cambiamenti nell’enologia etnea. Chi già lavorava fuori dalla DOC, e sono tanti i produttori di vini etnei che non imbottigliano come DOC Etna ma come IGT Sicilia, lo avrebbe continuato a fare, ma forse l’arrivo della DOC Sicilia, che sostituisce l’IGT Sicilia, spingerà qualche produttore a rientrare nella DOC etnea. Se non altro perché l’attuale DOC Sicilia permette di riportare, assieme ovviamente al nome DOC Sicilia, anche il nome di un’altra DOC siciliana se il vino rientra anche nel territorio e nelle regole di un altro disciplinare siciliano. Si avranno così vini che riporteranno in etichetta sia il nome della DOC Sicilia e sia, nel caso di cui parliamo, il nome della DOC Etna.
Questo fattore, che resta comunque strano e che dà adito a pensare alla natura puramente commerciale della nuova DOC Sicilia, paradossalmente è l’unico che forse manterrà, ove possibile, la natura di valorizzazione del territorio che dovrebbe possedere ogni disciplinare e che ripeto non può contemplare un territorio così grande e variegato come quello della Sicilia.
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