NERO D’AVOLA, UN VINO DALL’ASPETTO DI UN TRENTENNE

Sebbene datare con precisione l’origine del vitigno nero d’Avola sia impossibile allo stato attuale degli studi in materia, una cosa è certa: questo vitigno era già presente nell’Ottocento in Sicilia. Date certe non se ne possono dare, ma la zona da cui si è poi diffuso in tutta la Sicilia è nota e la porta nel suo nome. Proprio la sua grandissima diffusione nella zona territoriale sudorientale dell’isola ha dato spinta all’ipotesi che questo vitigno abbia una storia antichissima e che siano stati i greci a trapiantarlo in Sicilia nel periodo della fondazione delle prime colonie greche. Questa ipotesi potrà forse essere confermata solo quando si avvierà un’analisi approfondita dell’ampelografia greca, tutt’oggi ancora in parte sconosciuta. La Grecia, proprio come l’Italia, possiede una vastissima varietà ampelografica, ma a differenza dell’Italia, non si sono fatti studi per differenziare l’enorme mole di vitigni presenti in questo territorio.

Ma allora perché il vino nero d’Avola avrebbe un aspetto da trentenne nonostante l’origine antica del vitigno da cui si crea? Il motivo è l’enorme ritardo in materia di viticultura e vinificazione che la Sicilia, e quasi tutta l’Italia, presentava fino a trent’anni fa. Fino a cinquant’anni fa i vigneti, soprattutto nel Meridione, erano promiscui. Si coltivavano insieme vari tipi di uva, sia a bacca bianca sia a bacca rossa, e spesso si vinificavano tutti assieme. Il nero d’Avola veniva quindi vinificato assieme ad altri vitigni e non per forza rossi.

Il primo tentativo riuscito di creare un vino importante da nero d’Avola risale al 1973 e portava il nome di Riserva del Conte (oggi Rosso del Conte). Sono gli anni in cui inizierà finalmente a diffondersi l’imbottigliamento anche in Italia e visto che erano pochi i vini destinati a questa pratica, quando la si applicava lo si faceva per vino importanti.

Per capire a pieno l’enorme distanza in materia enologica che separava l’Italia dalla Francia, basti pensare che in quest’ultimo paese si iniziò a comprendere l’importanza dell’imbottigliamento ben sigillato nei primi del Seicento. Nel Settecento inoltrato era già diffuso in tutte le zone vitivinicole importanti della Francia. In Italia fu una pratica veramente poco diffusa fino ai primi anni Settanta e comunque riguardava soprattutto il Piemonte e la Toscana. L’unica eccezione in Sicilia era il Marsala. Questa eccezione però la si doveva agli inglesi, che gestivano la produzione del Marsala e avevano già capito l’enorme potenziale d’invecchiamento che potevano reggere i vini con questo tipo di lavorazione. Il Porto, che appartiene alla stessa categoria di vini del Marsala, già veniva imbottigliato nel 1708, proprio perché con un adeguato invecchiamento in bottiglia acquistava in complessità.

Pochissimi erano, quindi, i vini imbottigliati in Sicilia. Ma la Riserva del Conte non era però un nero d’Avola in purezza, bensì dell’uva perricone. Questo taglio, che era tipico in Sicilia, vedrà con gli anni un susseguirsi di assottigliamento della presenze del perricone in questo vino.

Per parlare di un nero d’Avola in purezza bisognerà aspettare l’uscita nel mercato della prima bottiglia di Duca Enrico. Siamo nel 1984 e la cantina Duca di Salaparuta, che ha prodotto questo vino, era già famosa per i suoi vini Corvo Rosso e Corvo Bianco, che erano sempre un misto di vari vitigni autoctoni.

Il Duca Enrico era stato ideato per il mercato estero, in particolare per quello americano. All’origine era un vino da tavola e il nero d’Avola, come vitigno, non era conosciuto allora come oggi, anzi fuori dall’Italia era praticamente sconosciuto. Creò non poca confusione quando apparve sul mercato. Era un vino totalmente diverso dalla stragrande maggioranza dei vini siciliani. Il processo lavorativo era quello da vino importante, con rese basse, passaggio in legno, una chiara ispirazione bordolese e soprattutto una percentuale alcolica meno importante della media dei vini siciliani. Proprio questa filosofia bordolese e la ricerca di un equilibrio nel vino fa supporre che si trattasse di un vino ricavato da qualche vitigno internazionale. La sorpresa fu enorme quando si scoprì che veniva da un vitigno autoctono e che quel vitigno era nient’altro che nero d’Avola. Un vitigno che nell’arco di pochi anni avrebbe raggiunto un successo strepitoso sia in Italia che all’estero.

Da vitigno sconosciuto, destinato al consumo locale o all’arricchimento dei mosti del nord, è diventato assieme al sangiovese, al prosecco (oggi glera) e al nebbiolo, il vitigno italiano più conosciuto all’estero. Capace di dare vini di pronta beva, ma anche vini importanti e da invecchiamento.

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