NEL CENTENARIO DELLA MORTE DI GIOVANNI PASCOLI 1912- 2012

Quest’anno ricorre il Centenario della morte di Giovanni Pascoli, che avvenne a Bologna il 6 aprile 1912 a 56 anni, essendo nato a S. Mauro di Romagna, il 31 dicembre 1855.

Proveniva da una famiglia numerosa e abbastanza agiata. Il padre era amministratore  di una tenuta dei  principi Torlonia.  A 12 anni, mentre era studente in un collegio a Urbino, uccisero il padre Ruggero, mentre tornava a casa da Cesena e non  si riuscì mai a sapere chi fosse l’assassino. Questo ebbe gravi ripercussioni  sulla famiglia  che dovette lasciare la tenuta e,  l’anno dopo, per il dolore morì la madre e a seguire  alcuni fratelli e sorelle. Senza il padre la famiglia si impoverì notevolmente. Ricevette una borsa di studio all’Università di Bologna alla facoltà di Lettere, dove erano docenti il grande poeta Giosuè Carducci e il latinista Giovanni Battista Gandino. Laureatosi, insegnò  in varie città Massa (dove cercò di ricostruire il nucleo famigliare con le sorelle Ida e Maria), Livorno, Pisa, Messina, e infine alla cattedra di Lettere dell’Università di Bologna, subentrando al maestro Carducci.

Nel 1895 si trasferì in Garfagnana, a Castelvecchio di Barga, con Maria  in una casa comprata con  alcune medaglie d’oro vinte con le sue poesie latine ad Amsterdam.

Non si sposò mai anche se  fu sul punto di farlo con Imelde  Morri, ma rinunciò per l’opposizione della sorella gelosa dell’amore del fratello. Il matrimonio della sorella Ida nello stesso anno del trasferimento nella nuova casa, gettò il poeta nello sconforto che lo porto anche  sulla via dell’alcolismo.

La poesia di  Giovanni  Pascoli spesso  riporta  alla memoria  la scuola elementare soprattutto (anche se adesso non si usa quasi più studiare poesie, purtroppo, con grave depauperamento culturale), questo poeta  viene definito ‘semplice’, agreste, pessimista, decadente.

Fu un dantista  e scrisse  molte poesie in latino. Nel suo studio teneva tre scrivanie: una per scrivere di Dante, una per i suoi componimenti latini e una per le poesie in italiano. 

La sua poesia  era  incentrata sia  sul concetto della morte che nell’osservare la natura. Era piena di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni, anafore, (vocaboli delle lingue speciali ossia gerghi), immagini e simbolismi.

Ne IL TEMPORALE per esempio usa un solo verbo: rosseggia.

Le più conosciute raccolte delle sue poesie sono MIRICAE (tamerici) e I CANTI DI CASTELVECCHIO,  dove si trovano quelle celeberrime della “Cavalla Storna” e “X agosto”,  che  parlano  dell’assassinio del padre.

Ma, come detto dianzi, il tema della morte ricorre molto spesso come, ad esempio, in NOVEMBRE e L’ASSIUOLO, PASSERO SOLITARIO (Sì, anche Pascoli scrisse una poesia con questo titolo) e illustrò la sua vita  ne: LA MIA SERA e soprattutto LA PICCOZZA.

Pascoli scrisse che il poeta è come un FANCIULLINO. Il paragone ha senso in quanto il fanciullo vede tutto con meraviglia, scopre la poesia delle cose nei particolari che svelano la loro essenza, il loro sorriso e le loro lacrime. Il Fanciullino è quindi quello che alla luce sogna ricordando cose  mai viste; è colui che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle… In sintesi il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta.

Onore al grande Giovanni Pascoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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