MUSICAL “LA LUPA SUSPIRI D’AMURI”

“Era alta, magra, aveva un seno fermo e vigoroso da bruna, era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai di nulla. Le donne si facevano il segno della croce quando la vedevano passare…”(dalla novella di Giovanni Verga, La Lupa).

Nella notte di San Lorenzo, con il cielo coperto che cela le stelle agli amanti dei desideri, la “Compagnia degli eventi” si esibisce con il coinvolgente musical “La Lupa, suspiri d’amuri”, liberamente ispirato alla novella di Giovanni Verga. Un’opera popolare con musiche, testi liriche e regia di Salvatore Guglielmino; con Antonella Arancio, nel ruolo di “Gna Pina”, Federica Contarino, Bruno Gatto, Orazio Di Giacomo; corpo di ballo Garofalo Sabrina, Borghi Ramona, Rapisarda Alessia, Rapisarda Mariagrazia, Cristaldi Francesco, Mazza Roberto. Produzione musicale e musiche di Alberto Fidone, coreografia Claudio Mantegna.

Il musical inizia, come nella novella, con la descrizione da parte del narratore cantante Guglielmino, della protagonista, le cui caratteristiche fisiche (alta, magra, pallida, con due occhi grandi) richiamano i tratti della strega nell’immaginario popolare, accentuati dal particolare che anche il parroco del paese aveva persa l’anima per lei. Il soprannome attribuito dalla gente del paese, “la Lupa”, è una metafora dello spolpare gli uomini, che rende l’idea ferina della sua insaziabilità (si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti), e la prepotente seduzione dello sguardo da satanasso, che aggiunge al ritratto un alone diabolico. Agli occhi del paese le colpe della madre ricadono sulla figlia: come la Lupa è isolata, perché il suo comportamento minaccia l’unità della famiglia, così la buona Maricchia, pur avendo una ricca dote (bella roba… buona terra), è esclusa dall’inserimento sociale e da un matrimonio normale (nessuno l’avrebbe tolta in moglie). Dopo l’ingresso in scena della protagonista, compare sul palco Nanni, un giovane lavoratore cui la donna si dichiara con violenza e passionalità. All’inizio il giovane si dimostra indifferente, abbastanza padrone di sé e grettamente interessato agli aspetti economici e alla dote di Maricchia; allora la Lupa, per appagare il proprio desiderio, si serve della figlia e la costringe alle nozze. Ma la sicurezza di Nanni comincia a vacillare ed il giovane, come soggiogato da una forza diabolica, non riesce ad opporsi alla tentazione della suocera. L’atteggiamento provocatorio e disinvolto della Lupa genera, prima la tentazione, poi il rimorso, poi l’attesa carica di desiderio, ed ancora la disperazione. Dopo i vari atti, l’ultima scena della tragedia: una figura dal rosso mantello calca il palco, come un corvo nero che preannuncia eventi nefasti (infatti rappresenta la morte); la Lupa, ferma nel suo proposito di dominio sul genero, preferisce morire piuttosto che vivere senza di lui (Ammazzami… ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci) e quando tornerà dal giovane, avanzando con atteggiamento di sfida, non conoscerà pentimenti e si offrirà alla morte con la coerenza e la forza di un’eroina. Nanni, al suo cospetto, balbetta, è esitante, incerto, pallido e stralunato, perdente nonostante tutto.

 

In conclusione potremmo dire che morire d’ amore si può: impazzire e invocare la morte per evitare il tormento di un’anima ossessivamente malata. Come la novella di Verga, che fa parte della corrente letteraria del Verismo, anche il musical rappresenta il mondo popolare, nella descrizione dei personaggi, nell’ambientazione delle scene, nelle musiche popolari passionali, carnali e fortemente istintive, che entrano nel sangue, pulsando come le pietre roventi scaldate dal sole, come il battito accelerato del cuore; ed è tutta qui la nostra sicilianità!

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