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MUSEICA
17 Mag 2014 07:06
La genialità dell’artista si fonda con la ricerca del sublime e con la perlustrazione dell’inconscio per trovare parole metriche adatte a descrivere il viaggio conscio nella realtà del vivere e nell’arte.
Questo processo creativo di Caparezza porta alla realizzazione di un disco, “Museica”, in cui ogni canzone trae ispirazione da un quadro, e il testo sviluppa le coordinate asintotiche della personalità profondamente osservatrice del Salvemini.
La copertina dell’album è un dipinto di Domenico Dell’Osso, in cui viene raffigurata la maestosità del creato senza i cui opposti non potrebbe trovare il giusto equilibrio. La visione naturalistica suggerisce un’armonia tra gli elementi, tali da evidenziare un’incapacità di dominio sull’esistenza e sui suoi misteri. C’è un alone di leggerezza che attraversa le pennellate dell’opera, che mette i soggetti animali e umani allo stesso piano. Un sottile filo lega la realtà all’ironia, che diventa il legante indistruttibile per affrontare la vita.
Nel disco Caparezza ha voluto inserire, all’inizio e alla fine, le canzoni di entrata e d’uscita dal museo-arte-musica, in modo che l’ascoltatore-spettatore possa rendersi conto del viaggio catartico eufonico che lo coinvolgerà.
“Avrai ragione tu” deve la sua composizione al murales di Dmitry Vrubel sul muro di Berlino, in cui raffigura l’ex leader sovietico Leonid Brezhnev in un bacio lesbo con l’ex capo della Germania Est comunista Erich Honecker: “Chiedo scusa a tutti i destinatari delle mie invettive (di fatto ritratto le mie posizioni) ma solo perché me lo ordina il plotone di bolscevichi che alberga nella mia testa.”
“Mica Van Gogh” prende ispirazione dalla “Natura morta con Bibbia” di Van Gogh, in cui la candela spenta è simbolo di caducità dell’esistenza e dell’assoluta sfiducia nei confronti del dogmatismo cattolico. In primo piano troviamo “La gioia di vivere” di Emile Zola, la cui copertina gialla contrasta per risalto ideologico la letteratura religiosa posta al di sopra: “Tra le prostitute e la marjuana ho scelto Van Gogh. Grazie Amsterdam. L’essermi appassionato alle opere e agli scritti di questo genio mi ha portato a tracciare un parallelo tra la sua vita tormentata e quella di una persona qualunque, oggi.”
“Figli d’arte” riprende l’opera di Francisco Goya, “Saturno che divora i suoi figli”, dove il pittore spagnolo raffigura con tinte ombrose il mito di Saturno che divora il figlio per combattere la profezia della sua morte per mano della prole: “In genere sono invidiati, raccomandati e contesi. Io li ho nobilitati raccontando la spietata parte oscura dei loro celebri genitori.”
“Comunque vada” segue la corrente dadaista del primo novecento, è nello specifico un ready-made di Marcel Duchamp sull’originale capolavoro della “Gioconda” di Leonardo da Vinci con l’aggiunta dei baffi: “Nel 1916 mentre la guerra mandava al macello migliaia di soldati, un pugno di artisti (felicemente disertori) si ritrovava al Cabaret Voltaire di Zurigo e mandava al macello l’arte. E la “Gioconda” rinacque con i baffi di Duchamp.”
“Giotto Beat” considera lo studio delle prospettive realizzate da Giotto all’interno della Cappella degli Scrovegni, in cui gli ambienti raffigurati hanno un andamento opposto e illusorio di visione ma innovativo per l’epoca: “Non siamo più nei sixties, questa nazione non offre alcuna prospettiva. Il minimo era invocare Giotto, che delle prospettive ha fatto il suo punto di forza. I suoi “Coretti” non potevano che ricordarmi gli “ye-ye” anni ’60 e il boom economico.”
“Cover” richiama la copertina dell’album dei Velvet Underground, disegnata da Andy Warhol, la cui banana è uno dei manifesti artistici musicali più famosi del mondo: “Tanti sono gli artisti che hanno permesso alle loro opere di diventare copertine di dischi. La banana di Warhol sull’album dei Velvet Underground è stato il big bang di questo mio viaggio lisergico attraverso le cover più celebri di tutti i tempi.”
“China Town” fa riferimento al suprematismo e al “Quadrato nero” di Kazimir Malevich, la cui indagine filosofica-esistenziale poggia le basi sulla sensibilità percettiva, che si disinteressa delle apparenze esteriori della natura e si spinge in profondità, nei meandri dell’essere. Il quadrato nero viene visto da Caparezza come un principio di creazione per la scrittura, in cui trovare musa e voce ispirante: “Potrei definirla come la mia prima ballad. E’ una canzone d’amore per l’inchiostro e per la scrittura. Se ne sta lì, nero su bianco, come il quadrato di Malevich.”
“Canzone a metà” si forma per osservazione del quadro di Rober William Buss, “Il sogno di Dickens”, in cui lo scrittore viene raffigurato all’interno della sua stanza attorniato dai personaggi creati dalla sua psiche. Caparezza punta l’obiettivo sull’imperfezione delle opere sospese, sulla paura di non riuscire o di non essere capaci o di non essere abbastanza spronati, su chi si spegne per metà come la sigaretta sveviana di chi vuole smettere. Salvemini lo spiega in questo modo: “Le persone che avranno il privilegio della riflessione sul punto di morte, ripenseranno alla vita terrena come ad un’opera incompiuta, imperfetta, colma di errori, di scelte opinabili e di cose che si potevano fare meglio. Il mio è un elogio dell’incompiutezza e trae ispirazione da tutte le opere lasciate a metà, come “Il sogno di Dickens” di William Buss.”
“Argenti Vive” trova origine dalla raffigurazione dell’ottavo canto dell’Inferno dantesco ad opera di Gustave Dorè, in cui il sommo poeta si imbatte in uno dei suoi più odiati nemici, Filippo Argenti, al quale non riserva compassione ma ripugnanza, rigettato da Virgilio nel fiume Stige. Questa sezione del canto evidenzia la veridicità umana del capolavoro letterario, in cui anche Dante riporta le sue bassezze e i suoi limiti di uomo: “Tutti prima o poi ci siamo imbattuti in una illustrazione di Gustave Dorè. Quelle nella Divina Commedia, per esempio, sono le sue ma molti lo ignorano così come ignorano che il vigoroso culturista da lui dipinto nel fiume Stige sia Filippo Argenti, vicino di casa di Dante. Il somma poeta distrugge il dirimpettaio con un dissing violentissimo. Ora il microfono passa ad Argenti…”
“Fai da tela” mostra come il dipinto “The little deer” di Frida Kahlo abbia ispirato l’artista nel confronto con il mondo delle critiche, paragonate a delle frecce distruttive, che riportano una visione individuale di concezione soggettiva di giudizio, che non deve però influenzare il modus operandi di chi compone. Lascia così al pubblico la libertà di dare una personale pennellata al soggetto Caparezza che si mostra: “Il mio brano preferito, quello in cui sono a nudo, come una tela bianca. Nonostante tutti gli sforzi per essere noi stessi, siamo e saremo sempre quello che gli altri vogliono: un facile bersaglio. Hai presente il cervo con il volto di Frida Kahlo?”.
“E’ tardi” coglie una realtà metafisica nell’opera di Salvator Dalì, “La persistenza della memoria”, in cui il tempo risulta sfaldato da ogni regola che governa la vita, e l’elasticità della memoria persistente nel tempo rigido diviene ticchettio inesauribile di fluida condizione esistenziale: “Il museo chiude e con lui speranze, possibilità e progetti futuri. Per fortuna Dalì mi insegna che il tempo è relativo , soprattutto se scandito da orologi dilatati, metafisi. Forse è tardi ma non mi fermerò.”
“Museica” risulta essere una profonda prova di coraggio per il vagabondo musicista Caparezza, in cui si riscontra la voglia di voler trasmettere un messaggio di riflessione e di sfida al superfluo, utilizzando i mezzi della parola, dell’immagine e del pentagramma sonoro per intrappolare l’anima dell’eterno sostanziale primitivo.
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