LO SCIOPERO DELLA FAME

 Lo sciopero della fame è una delle tecniche più conosciute della nonviolenza. Esso consiste nel rinunziare, da parte di chi vuole protestare contro qualcosa e non vuole arrecare violenza agli altri, a cibarsi, o a a cibarsi in misura del tutto insufficiente, fino ad arrivare alla morte se chi può intervenire per rimuovere i motivi che lo hanno portato ad agire in tal modo non lo fa.

         Anche se il fenomeno è più antico, soprattutto in oriente, il personaggio più conosciuto che ricorse a questo sistema di lotta politica fu Gandhi. Il Mahatma Gandhi, rifacendosi alla dottrina tolstojana della “non resistenza al male”, utilizzava l’espressione non-violenza per porre l’accento su ciò che di negativo (la violenza) bisognava sforzarsi di eliminare al fine di costruire un mondo di pace: «In effetti la stessa espressione “non-violenza”, un’espressione negativa, sta ad indicare uno sforzo diretto ad eliminare la violenza». D’altra parte, già l’espressione “resistenza passiva” non veniva condivisa da Gandhi, che preferiva parlare della non-violenza come di una “resistenza attiva” contro il male. Gandhi distingueva inoltre la “nonviolenza del debole” (di chi non ricorre alle armi per pura viltà o opportunismo) dalla “nonviolenza del forte” (di chi può usare la violenza, ma preferisce ricorrere alla forza dell’amore).

         Il termine non-violenza, nell’accezione gandhiana, fu utilizzato anche da Simone Weil e risalì poi alla ribalta mondiale grazie alle prediche di Martin Luther King.

         Gandhi partecipò a due famosi scioperi della fame. Col primo protestò contro le regole inglesi in India, col secondo protestò contro le regole autocratiche della nuova India indipendente. A causa dell’importanza acquisita da Gandhi nel mondo, e del valore ideali delle sue battaglie, è chiaro che le autorità britanniche non desideravano permettergli di morire durante la sua custodia carceraria perché ciò si sarebbe rivolto politicamente contro di esse.  Perché è chiaro lo sciopero della fame e la lotta nonviolenta in generale sono lotte che mettono a rischio la vita di una o più persone per difendere valori che sono proporzionalmente più grandi di quello di una singola vita umana (la libertà di un popolo, le regole del diritto, il diritto dei diseredati).

         L’associazione mondiale dei medici, nell’articolo 6 della dichiarazione di Tokyo del 1975, dichiara che i medici non devono intraprendere l’alimentazione forzata in alcune circostanze: “Quando un prigioniero rifiuta l’alimentazione ed è considerato dal medico come capace di formare un giudizio oggettivo e razionale riguardo alle conseguenze di tale rifiuto volontario di alimentazione, il prigioniero o la prigioniera non sarà eseguita alcuna operazione. La decisione relativa alla capacità del prigioniero di formare un tal giudizio dovrebbe essere confermata da almeno un medico indipendente. Le conseguenze del rifiuto di alimentazione saranno spiegate dal medico al prigioniero.” Questo principio fu ribadito nel 1998 dalla World Health Organization e adottato nello stesso anno dal Consiglio dei ministri della Comunità Europea (CE.98.008, art. 60/63) dove si esplicita però che se le condizioni dello scioperante peggiorano significativamente i medici devono fare rapporto all’autorità appropriata che prenderà provvedimenti in accordo con la legislazione nazionale (CE.98.008, art. 63).

         In Italia hanno utilizzato questo strumento di lotta politica Danilo Dolci, Aldo Capitini e Marco Pannella (forse l’unico noto a questo riguardo al grande pubblico).

         Fu proprio Aldo Capitini, (Perugia, 23 dicembre 1899 – Perugia, 19 ottobre 1968), filosofo, politico, antifascista, poeta ed educatore uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere appellato come il Gandhi italiano. Fondatore del Movimento Nonviolento, propose di scrivere la parola senza il trattino separatore, per sottolineare come la nonviolenza non sia semplice negazione della violenza bensì un valore autonomo. Nel 1961 Capitini organizza la Marcia per la Pace Perugia Assisi, un corteo nonviolento, una marcia tuttora proposta con cadenza annuale dalle associazioni e dai movimenti per la pace. In quella occasione viene per la prima volta utilizzata la Bandiera della pace, simbolo dell’opposizione nonviolenta a tutte le guerre. Capitini così descrive l’esperienza della marcia: «Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia».

         Aldo Capitini muore il 19 ottobre 1968. Il 21 ottobre il leader socialista Pietro Nenni scrive una nota sul suo diario: «È morto il prof. Aldo Capitini. Era una eccezionale figura di studioso. Fautore della nonviolenza, era disponibile per ogni causa di libertà e di giustizia. (…) Mi dice Pietro Longo che a Perugia era isolato e considerato stravagante. C’è sempre una punta di stravaganza ad andare contro corrente, e Aldo Capitini era andato contro corrente all’epoca del fascismo e nuovamente nell’epoca post-fascista. Forse troppo per una sola vita umana, ma bello».

         Marco Pannella in Italia ha utilizzato in più occasioni questo strumento di lotta nonviolenta, ma ha sempre legato i suoi scioperi (nei quali si alimenta solo con alcuni cappuccini) a rivendicazioni legate al rispetto del diritto da parte delle autorità pubbliche.

        Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924 – Trappeto, 30 dicembre 1997) è stato un sociologo, poeta, educatore e attivista, soprattutto in Sicilia, della nonviolenza.

Il 14 ottobre del 1952 Dolci dà inizio a Trappeto alla prima delle sue numerose proteste nonviolente, il digiuno sul letto di Benedetto Barretta, un bambino morto per la denutrizione. Se anche Dolci fosse morto di fame, lo avrebbero sostituito, in accordo con lui, altre persone, fino a quando le istituzioni italiane non si fossero interessate alla povertà della zona. La protesta, dopo aver attirato l’attenzione della stampa, viene interrotta quando le autorità si impegnano pubblicamente ad eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di un impianto fognario.

         Nel gennaio del 1956, a San Cataldo, oltre mille persone danno vita ad uno sciopero della fame collettivo per protestare contro la pesca di frodo che, tollerata dallo Stato, priva i pescatori dei mezzi di sussistenza. Ma la manifestazione è presto sciolta dalle autorità, con la motivazione che «un digiuno pubblico è illegale».

         Il 2 febbraio 1956 ha luogo, a Partinico, lo sciopero alla rovescia. Alla base c’è l’idea che, se un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, un disoccupato può scioperare invece lavorando. Così centinaia di disoccupati si organizzano per riattivare pacificamente una strada comunale abbandonata; ma i lavori vengono fermati dalla polizia e Dolci, con alcuni suoi collaboratori, viene arrestato. L’episodio suscita indignazione nel Paese, e provoca numerose interrogazioni parlamentari. Dolci viene successivamente scagionato, dopo un processo che ha enorme risalto sulla stampa: a difenderlo è il grande giurista Piero Calamandrei.

         Non confondiamo una così grande storia e degli altissimi ideali con una dieta dimagrante fatta prima di ferragosto per l’aeroporto di Comiso! 

                  

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